Dai
MARCATORI alla PROSSIMITÀ NEONATALE nel COGNOME
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di Iole Natoli
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Ieri una mia conoscente di FB ha postato sulla mia
bacheca un articolo della psicologa Valentina Sciubba (-->).
Riguarda l’importanza del nome e del cognome, è del luglio del 2012 e si pone
quale commento al tentativo parlamentare, come sempre fallito, di eliminare
la patrilinearità obbligatoria.
Vi ritrovo considerazioni sull’importanza del nome e del cognome in relazione all’identità personale e un accenno ai marcatori genetici, in possibile relazione col cognome.
Ciò mi riporta molto indietro negli anni. Preciso
intanto che si parla sempre dell'esperienza spagnola come fosse l'unica cui
riferirsi ma non è così. Il doppio cognome esiste anche in Portogallo e in quasi tutti i paesi dell'America latina, di lingua spagnola e portoghese.
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Quest’uso configura una popolazione composta di
diverse nazionalità, molto estesa, che non conosce la patrilinearità e che
peraltro si indigna profondamente quando qualcuno dei suoi componenti, assumendo
la cittadinanza italiana, si ritrova privato del cognome materno dalla
misogina pratica nostrana.
Quel che mi preme però sottolineare riguarda invece
la relazione tra sesso e cognomi, prospettata per giustificare
concettualmente eventuali linee maschili e femminili di discendenza, separate
in virtù dei marcatori genetici.
In Italia si discusse per la prima volta di doppio
cognome grazie a una serie di articoli che io scrissi a datare dal 1979 e
alla prima causa civile che mossi nel 1980 contro lo Stato, per il
riconoscimento della presenza anche del materno nel cognome dei figli (-->).
Nel primo scritto (La
soppressione della donna nella struttura familiare - Il Foglio d’arte, giugno
1979) e in altri successivi, nel precisare la mia proposta di doppio
cognome paritario affidavo il criterio di ordine dei due cognomi (sempre due
e mai quattro) proprio al sesso. Al primo posto il cognome paterno per un
figlio, al primo posto il cognome materno per la figlia, con una differenza
dunque non di elementi del cognome ma del loro ordine nell’ambito dell’insieme.
Prevedevo allora - e conservai quest’ipotesi a lungo - anche la possibilità
che ciascuno dei coniugi potesse aggiungere, ove lo volesse, il cognome
dell’altro, ottenendo così una sorta di marcatore familiare di riconoscibilità
immediata. Quest’ultima era sicuramente un’idea ancora inconsapevolmente
vincolata al matrimonio unico. Complesso infatti fare e disfare i cognomi dei
coniugi ogni volta che si contrae un nuovo matrimonio. In alcuni Stati
stranieri questo esiste, ma ciò non rende automaticamente valide e
importabili talune altrui, del tutto superflue, soluzioni.
Ma torniamo al primo mutamento del mio progetto: quello
dell’ordine dei cognomi determinato dal sesso dei figli. Mi resi conto che
l'identità sessuale è qualcosa di molto più complesso del sesso anagrafico
alla nascita e che pertanto la differenza dell’ordine dei cognomi in base ad
esso sarebbe stata per alcuni soggetti disturbante. Così nella riformulazione
successiva (Evoluzione sociale, modello familiare e formazione
dell’identità: ipotesi
per un mutamento, Il Confronto meridionale 1988, riprodotto poi on line in altro blog -->) proposi che l'ordine dei cognomi
andasse determinato, una volta per tutte, dalla casualità del primo nato/a.
Prima il cognome della madre se femmina (e così per tutti i figli della
coppia), prima il cognome del
padre se maschio (e così anche per gli altri figli).
Sembra incredibile quanto sia stato lungo perfino per
me, che ho sollevato il problema del doppio cognome per prima in Italia e che
tanto ho lottato per la sua realizzazione interessando parlamentari di
diverso schieramento al progetto, riuscire a liberarmi per intero da tutti i
condizionamenti culturali. Come i vari parlamentari, che a datare dal tentativo
di Maria Magnani Noya (cognome unico a scelta, ottobre 1979) ebbero a
presentare progetti diversi alla ricerca della soluzione "giusta"
impossibile (l'ordine alfabetico? il sorteggio?), avevo anch'io qualche
strato di prosciutto sugli occhi.
La verità è un'altra. Lo stretto rapporto
madre-figlio e conseguentemente figlio-madre esiste alla nascita SEMPRE, che
la nuova creatura sia maschio oppure femmina. Non dipende dal sesso del o
della neonata. Dipende dalla biologia e non dallo stolto capriccio degli
umani, ha a che fare con l’indiscutibile PROSSIMITÀ NEONATALE di per sé. È un
rapporto che non conosce
mediazioni se non successive, ovvero quando il cognome è già stato attribuito
da tempo. Non smentiamo pertanto la natura per la pretesa di nascondere il
vero, per continuare in una rimozione che è il male stesso delle società
maschiliste (-->).
Accettare la priorità del cognome materno nell’ordine dei cognomi del figlio
non è un "di più" che si attribuisce alla donna: è il rispetto per quel "di più" che con nove mesi di gravidanza e un parto effettivamente ella fa e per la tenera dipendenza psicofisica del figlio
da lei, che dura almeno sino al termine dell’allattamento.
Dunque, qualora i genitori non abbiano espresso un
desiderio univoco differente - dovuto a una migliore assonanza dei due
cognomi in posizione inversa o ad altre motivazioni soggettive, che non
spetta al legislatore o all'ufficiale dello stato civile valutare - è tanto normale da essere addirittura OVVIO
che i figli prendano per primo il cognome della madre seguito da quello del
padre, senza però che l’ordine, quale che esso sia, possa influire sulla scelta
che il figlio ormai adulto e genitore a sua volta potrà fare tra i suoi
cognomi, non per sé ma per la sua discendenza.
I marcatori lasciamoli da parte: nel cognome non servono a nulla.
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All’attenzione del Parlamento italiano |
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5 Giugno 2013
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© Iole
Natoli
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Il cognome patrilineare, in Italia come in ogni Paese in cui vige, è il burqa culturale delle donne (©Iole Natoli).
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