Atto Camera 360
UN COMPROMESSO PER
USCIRE DAL NULLA
di Iole Natoli
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In effetti è così, proprio come riporta sinteticamente Nadia Somma nel suo articolo odierno su “Il fatto quotidiano” (->∆). La legge sul cognome dei figli, che a scrutinio segreto è stata approvata giorni addietro alla Camera e che dovrà passare ora al vaglio del Senato, non è in realtà la migliore delle leggi possibili in materia.
Due i suoi difetti sostanziali.
Limita al massimo la libertà dei figli e delle figlie
maggiorenni, riducendola a una semplice possibilità di aggiunta, nel caso sia
stato loro attribuito un solo cognome, ma non permette l’inversione dei due cognomi ricevuti (come prevede
l’ultima legge spagnola, non ancora in vigore), né consente la soppressione di uno di essi. Tutti casi, questi,
da me contemplati in entrambe le mie petizioni [(->∆)
e (->∆)], presentate anche alla Camera e
al Senato.
Inoltre,
con il ricorso all’ordine alfabetico in caso di scelte discordanti dei
genitori, rimuove quella verità della vita, che ho definito come “prossimità neonatale”. Si è partoriti
da un corpo di donna, da quel corpo che ci ha accolti e nutriti per ben nove
mesi, col quale siamo dunque in relazione al tempo della nascita e col quale
continuiamo a relazionarci anche per un tempo successivo, scandito quasi
sempre dall’allattamento al seno oltre che da preminenti cure materne.
Poiché la relazione del neonato è unicamente
con la madre al tempo in cui avviene la registrazione anagrafica, è
naturale e logico che il primo dei due cognomi sia per regola quello materno
- salvo diverso desiderio univocamente espresso dai genitori - e che non si
ricorra ad un qualche artificio per stabilire un ordine fasullo.
Affidarsi
ad altri sistemi, siano ordini alfabetici o sorteggi, è un atto di rimozione culturale, un omaggio alla società
patriarcale che pertanto non viene interamente superata.
Lo avevo
scritto nelle mie due petizioni e ciò collimava con la posizione assunta
dalla deputata Marisa Nicchi con
la sua proposta di legge e col suo successivo emendamento al tempo della
discussione in Commissione Giustizia.
Reputo
dunque l’appena approvato Ddl 360 - proposto dall’on. Laura Garavini e di cui è stata relatrice l’on. Michela Marzano - un compromesso,
onorevole sì, ma un compromesso.
E
tuttavia, considerata la presenza iniziale di proposte ben meno avanzate e
dato il clima reazionario che ha contraddistinto la discussione in Assemblea,
è probabile che una legge siffatta
costituisca concretamente il
massimo che sia possibile ottenere oggi
da questo Parlamento.
È per tale
ragione che invito tutte e tutti coloro che ci credono a sostenere l’iter parlamentare che dovrà ancora compiersi,
affinché l’Italia abbia dopo anni e anni di lotte una legge in materia di
cognomi.
Ricordo
infine alle donne che la scomparsa del vergognoso 143bis, che prevede ancor
oggi l’aggiunta del cognome maritale per le donne coniugate ma non ha mai previsto il caso inverso,
FINALMENTE uscirà di scena definitivamente dal momento dell’entrata in vigore
di questa
legge. E non si tratta di un dato secondario, sul quale sia opportuno
sorvolare.
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26.09.2014
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© Iole Natoli
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Oggi 27.09.2014 ho lanciato su change.org una nuova petizione per sostenere l'itinerario del Ddl al Senato. Invito tutte e tutti a firmarla (->∆). |
Il cognome patrilineare, in Italia come in ogni Paese in cui vige, è il burqa culturale delle donne (©Iole Natoli).
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Sono d'accordissimo con Lei.
RispondiEliminaPer sostenere il Disegno di legge sul Cognome nel suo itinerario al Senato, oggi ho creato una nuova PETIZIONE. Vi invito a firmarla e a farla girare.
RispondiEliminaGrazie.
http://www.change.org/p/pietro-grasso-assunzione-di-responsabilità-approvare-celermente-il-ddl-360-sul-cognome-dei-figli
La trovata della "prossimità neonatale" è geniale, chapeau!
RispondiEliminaPerché non introdurre, allora, il concetto di "prossimità fecondativa"? Dopotutto è lo spermatozoo che, con sprezzo del pericolo e grande fatica, percorre la lunga strada che lo separa dall'ovulo, nel frattempo fermo in attesa.
Il vero atto di rimozione culturale è il superamento della società patriarcale con l'introduzione di quella matriarcale: pretendere di riparare al torto di una società maschilista attraverso il torto opposto Le pare la soluzione migliore? "Brandire" a ogni piè sospinto maternità e accudimento come pretesti per rivendicare maggiori diritti invece che la parità non fa di certo giustizia.
Caro lettore,
RispondiEliminaLei fa giustizia sommaria di una sostanziale differenza. Sottopone la donna al letto di Procuste per rendere il suo impegno psicofisico (gravidanza + parto) uguale a quello dell’uomo e, DOPO aver fatto questa singolare OPERAZIONE, stabilisce un presunto criterio di “uguaglianza”.
Perché la sua teoria fosse fondata bisognerebbe che gravidanza e parto fossero anche prerogativa degli uomini, cosa che - almeno fino ad oggi - non è. In assenza di ciò, la sua pretesa “uguaglianza” è del tutto apparente e consiste in una disuguaglianza sostanziale disegnata sul corpo e a spese della donna.
Da notare che la priorità dovuta alla prossimità neonatale da me definita riguarda SOLAMENTE l’ordine dei due cognomi in caso di doppio cognome e di assenza di un’indicazione concordata di tipo diverso.
Non solo, ma essa NON vincola minimamente il soggetto adulto che non soltanto potrà scegliere di attuare una modifica del proprio o dei propri cognomi (ivi compreso l’ordine), ma potrà liberamente scegliere uno dei suoi due cognomi per il proprio figlio, senza lacciuoli determinati dall’ordine in cui li avrà ricevuti.
È singolare che nemmeno così il sesso maschile abbia il pudore ideologico di riconoscere la diversità di impegno generativo che, dall’inizio sino alla NASCITA COMPRESA, investe la psicofisicità femminile.
Ultima notazione: gli spermatozoi che si rincorrono e superano barriere fisiologiche per raggiungere l’ovulo fanno tutto ciò AL DI FUORI del corpo maschile. TUTTO IL RESTO - e cioè ovulazione, formazione della blastula, poi dell’embrione, quindi del feto - avviene ALL’INTERNO del corpo della donna e dopo tutto ciò… c’è UN PARTO.
Un suggerimento: eviti di arrampicarsi sugli specchi, perché le servono solo per deformare pericolosamente la realtà.
Buona meditazione e, malgrado il dissenso totale, cordiali saluti.
Mi lascia basito il fatto che Lei abbia risposto nel merito alla mia battuta sulla "prossimità fecondativa", ovviamente ironica. Le consiglio, con tutto il rispetto e la modestia possibili, di rilassarsi, non ho intenzione di indire una raccolta firme per difendere la Causa degli spermatozoi.
RispondiEliminaMi chiedo soltanto se il Suo "bonus gravidanza e parto" valga solo in occasione di disaccordo nell'assegnazione del cognome alla prole o se Lei crede, al di là della proposta di legge sul cognome materno, che esso debba dare maggiori diritti alle madri anche in altre evenienze. Trovo al limite del grottesco, a proposito del pudore intellettuale da Lei citato, tentare di mettere in difetto le ragioni maschili rimproverando agli uomini la "colpa" di non essere loro a portare in grembo il frutto del concepimento. Niente parità di diritti, dunque. Me ne farò una ragione... Mi consolerò con la consapevolezza di aver contribuito col 50% del patrimonio genetico dei miei figli e con la possibilità di poter contribuire alla loro formazione insegnando loro che hanno due genitori fra i quali non ce n'è uno "più genitore" dell'altro.
Non La sfiora neanche il sospetto che la radicalizzazione di certe posizioni possa nuocere prima alla serenità del confronto e poi all'ottenimento del risultato che ci si auspica?
In attesa che le scienze biologiche vengano in soccorso del "club delle sole donne" (o delle donne sole?) e vi consentano di procreare senza l'intervento di uomo alcuno, anch'io La saluto con cordialità.
Giuseppe
La sua “battuta”, caro Giuseppe, non è stata tirata in ballo per una generica e innocente voglia di far ridere, ma esclusivamente per quella di negare, tentando di far ridere, la “prossimità neonatale”; di conseguenza andava smantellata nel contenuto senza strizzare l’occhio all’ironia.
RispondiEliminaChe poi lei si costruisca castelli immaginari nei quali rinchiudere i poveri padri deprivati del ricorso all’ordine alfabetico è affar suo. Come è affar suo il ritenere che sia considerata da me o dalle altre donne come “colpa” il non potere generare in proprio un figlio (che, oltretutto, capita talvolta anche alle donne). Colpa è, invece, voler rimuovere il reale dalla mente dei figli e dalla percezione sociale del mondo.
Se soltanto fosse meno ideologicamente compromesso col maschilismo diffuso, non si sentirebbe così profondamente attaccato dal registrare mediante un concetto la verità della vita.
Da che cosa poi lei deduca che io o altre donne saremmo interessate a proiettare ed estendere la realtà della gravidanza e del parto sul rapporto della coppia genitoriale al suo interno e coi figli resta oscuro.
Ancora una volta lei si è fatto un film. Le donne hanno sempre chiesto un coinvolgimento emotivo e pratico ai partner nella cura dei figli e sono stati invece proprio i partner a rifuggirne. E i rapporti, caro Giuseppe, si costruiscono IN CAMPO, ovvero con la cura e l’accudimento sereno della prole. Condiviso spontaneamente e non richiesto a ogni piè sospinto. Bilaterale e non scaricato su un membro della coppia soltanto (la donna).
Se poi nutre ancora dei dubbi sul progetto, le dirò che il mio riferimento mentale è dato dalla società norvegese ultima generazione. Veda il servizio del bravissimo Riccardo Iacona “Senza donne”, nella parte - più o meno centrale - in cui mostra il cambiamento intervenuto nella società norvegese con l’introduzione dei permessi per paternità obbligatori e di lunga durata, e FORSE riuscirà a cogliere il mio pensiero che vorrei divenisse un obiettivo sociale.
A proposito: qui quello che non è rilassato è proprio lei. Io sono abituata ad attacchi ben peggiori del suo e non mi sconvolgono minimamente né le sue obiezioni né le isterie maschili (e adesso non mi faccia una lunga dissertazione sul termine, di cui conosco l’etimologia) ricorrenti.
(Continuo nel prosssimo per limite di lunghezza imposto)
Per finire, lei cade nell’errore abbastanza frequente di ritenere che il matriarcato abbia le stesse caratteristiche di prevaricazione, autoritarismo, oppressione del patriarcato.
RispondiEliminaÈ fuori strada. Le società matriarcali sono altro. Sono orizzontali e non verticali, egualitarie e non generatrici di disuguaglianze, centrate sul principio della libertà sessuale, della responsabilità di tutti i membri, della condivisione di cura. Ci sono molti studi in proposito, perché esistono ancora oggi alcune società matriarcali, dalle quali - le sembrerà strano - gli uomini non intendono fuggire perché ci stanno benissimo. Fuggono invece dai tentativi dei governi estranei (ad es. il cinese) di omologarli ai loro moduli, mutuati dalle vecchie società patriarcali.
Per evitare che nuovamente fraintenda, le anticipo: nessuna pensa di trapiantare ipso facto modelli matriarcali nei rapporti di coppia donna-uomo delle nostre famiglie nucleari, anche perché nel matriarcato vivente la coppia, come è intesa da noi, non esiste. Ripeto: il mio modello più prossimo per i rapporti di coppia è la nuova società norvegese, benché ritenga che le società matriarcali abbiano principi di base superiori rispetto a quelli di TUTTE le società di origine patriarcale, anche evolute.
Se poi sempre più donne sentiranno il bisogno di sottrarsi al rapporto stabile con gli uomini per organizzarsi secondo modelli diversi, beh, la “colpa” non è mia e nemmeno della “prossimità neonatale”. Se ci si pone come nemici nei confronti delle donne non c’è poi da meravigliarsi se le donne decidono di fare a meno degli uomini. Sarebbe molto più proficuo per loro, cioè per gli uomini, se cambiassero radicalmente atteggiamento.
Spero di avere chiarito definitivamente i suoi dubbi. Se così non fosse, mi spiace per lei ma io non faccio lavaggi dei cervelli. Il refresh è un’operazione che ciascuno deve compiere in proprio.
Buona giornata.
Coloro che volessero saperne di più sul matriarcato, possono rifarsi direttamente agli studi di Heide Goettner-Abendroth di cui trovano traccia a questo link
RispondiEliminahttp://www.women.it/armonie/studi_matriarcali.htm
oppure leggere due articoli da me pubblicati in altri miei blog:
SOCIETÀ / Viaggio in una comunità matriarcale Intervista con Francesca Rosati Freeman
http://femminismi-confronto-work.blogspot.it/2014/04/societa-viaggio-in-una-comunita.html
e
DOCUMENTARIO sui Moso / Dove il femminicidio non esiste e la parola stessa è intraducibile
http://kultbazaar.blogspot.it/2014/05/documentario-sui-moso-dove-il.html
Aggiungo: a proposito della “prossimità neonatale” che tanto ha messo in allarme il lettore pipo130771, segnalo che, nel corso di una mia prima indagine del 1980 sulla situazione dei cognomi dei figli nell’Europa geografica, ho avuto dall’Ambasciata norvegese la risposta che potrete vedere al link che segue.
RispondiEliminaLì non si scrive di “prossimità neonatale” - probabilmente perché nessuno in terre meno maschiliste della nostra ha avvertito la necessità di concettualizzare ciò che la natura mostra ogni giorno, in ogni ora del giorno e in tutti i luoghi del mondo, cioè che i figli nascono dalla madre e solo a lei si relazionano al momento della nascita e per un certo tempo successivo - e tuttavia, per regola, i figli in Norvegia prendono il cognome della madre salvo diversi accordi dei genitori e nessuno, che io sappia, grida allo scandalo.
Da notare che non si configura nemmeno il "disaccordo" tanto caro ai paritari del letto di Procuste (che esistono anche tra i legislatori), perché stabilire una regola di base, dalla quale ci si può discostare solo per diverso accordo raggiunto, elimina il falso problema alla radice.
http://cognomematerno-archiviostorico-italia.blogspot.it/2013/07/ai-figli-il-cognome-della-donna.html