CONTRO LA PRASSI
DI CANCELLAZIONE DELLE DONNE DOVE
PRIMARIAMENTE SI PRODUCE
di Iole Natoli
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Già per due volte sono stata
chiamata a intervenire sul Cognome Materno in un Convegno centrato sulle
Culture delle Società Matriarcali (la più recente a Bologna l’11 ottobre di
quest’anno) e tuttavia le mie analisi e proposte, enucleate in numerosi
scritti, non partono da studi su quelle culture ma dall’analisi della cultura
e della società italiana e muovono da una specifica radice: il nesso
esplicito da me individuato da tempo tra la condizione vessatoria della
donna nelle società derivanti da modelli patriarcali, come l’Italia, e il
sistema di identificazione dei nuclei familiari, con particolare riguardo
alla patrilinearità del cognome dei figli.
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C’entra qualcosa con le
culture matriarcali? Sì e moltissimo, benché l’approccio sia esattamente
inverso. Chi le studia e ne tratta espone modelli in cui la donna ha quel
ruolo sociale che dal suo essere
generatrice primaria della specie umana le deriva e mostra come ciò sia intrinsecamente
collegato a una pacifica gestione orizzontale dei poteri, rispettosa delle
esigenze dei singoli; io invece ho mostrato e mostro come la cultura di
matrice patriarcale sopprima in modo simbolico ma sistematico quel
ruolo, espropriando la donna da se stessa e dalla dignità che il suo essere persona generatrice primaria della specie
umana comporta e indico tale
modus operandi come radice nascosta ma vitale della cultura del
conflitto, della sopraffazione e dell’esproprio.
Nel 1949 nasce il Consiglio
d’Europa, che con l’art. 19 del Titolo II istituisce la Corte, allo scopo
di assicurare il rispetto delle libertà e dei diritti dell’uomo (che riguardino implicitamente le donne,
apparente sottospecie maschile) enunciati nel Titolo I. Con Risoluzione
n. 37 del 27 settembre del 1978, detto Consiglio proclama la necessità che
i Paesi membri adottino legislazioni rispondenti al principio
dell’uguaglianza dei coniugi, anche in tema di cognome dei figli.
Molti paesi cominciano così ad
adeguare le loro legislazioni. Anche da noi si tenta una forma sia pur timida
di attuazione.
Il 30 ottobre del 1979 compare
la 1ª proposta parlamentare della Repubblica italiana sul tema, a firma della
socialista Maria Magnani Noya. È centrata sul monocognome familiare a
scelta.
Qualche mese prima, nel
giugno del 1979, è uscito invece sul Foglio d’Arte, una rivista culturale
siciliana a tiratura molto limitata, il primo scritto del XX secolo
sul Cognome dei Figli in Italia. Contiene alcuni articoli di una
possibile proposta di legge sul doppio cognome ed è un mio pezzo dal
titolo “La soppressione della donna nella struttura familiare”.
Precede dunque l’iniziativa dell’on. Magnani Noya, con la quale non ha
peraltro punti di contatto nemmeno nella sostanza.
La proposta Magnani Noya, infatti:
- si rifà esplicitamente al
sistema già adottato da Germania Federale e Jugoslavia;
- si limita a proporre quale
cognome della famiglia un cognome unico a scelta che diventa automaticamente
il cognome dei figli;
- non prevede nessuna regola
per i casi di eventuale disaccordo tra i futuri coniugi.
Nel mio articolo, invece:
- si esclude un cognome comune
per la famiglia puntando sull’abolizione dell’attuale 143bis;
- si affronta il problema di garantire
a TUTTE le donne la certezza che il figlio da loro partorito abbia il cognome
di entrambi i genitori;
- si affronta il problema del
disaccordo sull’ordine dei cognomi, anche se esso viene risolto in un modo
che oggi trovo inadeguato, avendone individuato uno migliore;
- si determina per la prima
volta la regola necessaria per evitare la motiplicazione dei cognomi,
stabilendo che ciascun genitore può indicare per i figli uno solo dei suoi
cognomi, ove ne abbia già due, e sempre lo stesso, per far sì che i figli
siano sempre collegati attraverso un cognome anche a eventuali fratelli nati
da diverse unioni di uno o di entrambi i genitori.
Qualcuno ha ritenuto che il
mio progetto di allora ricalcasse il modello spagnolo, ma non è così. In
primo luogo a quell’epoca i cognomi spagnoli non venivano semplificati ma si
sommavano raggiungendo lunghezze interminabili e, secondariamente, il primo
cognome era stabilmente quello paterno, cosa che ricalcava, sia pure
ammorbidendolo, il modello patriarcale della patrilinearità più diffuso in
Europa e anche altrove.
Da quel mio scritto nacque la
mia decisione di tentare una strada concreta, l’unica percorribile da chi non
dispone di un seggio in parlamento, quella cioè dei ricorsi giudiziari. A partire da quel
momento la questione del cognome dei figli procederà su due direttrici
diverse: l’una è costituita dalle proposte parlamentari, l’altra
da scritti e iniziative di vario genere intraprese da cittadine o coppie italiane.
Per necessaria brevità, salto
qui la complessa questione dei percorsi, che è possibile rintracciare nei miei tre blog dedicati al cognome e mi soffermo
invece sul Ddl 360, riedizione della proposta Garavini della scorsa
legislatura che è stata di recente approvata alla Camera e che attende il
placet (o la ricusazione) del Senato.
Questi i suoi punti base: i
genitori coniugati possono attribuire, secondo la loro volontà, il cognome
del padre o quello della madre ovvero quelli di entrambi nell’ordine da loro concordato.
In caso di mancato accordo, al figlio sono attribuiti i cognomi di entrambi i
genitori in ordine alfabetico. Il figlio che ha avuto il cognome di entrambi
i genitori, può trasmetterne al proprio figlio soltanto uno, a sua scelta.
È una soluzione soddisfacente?
Dipende. Se la compariamo ad alcuni dei progetti presentati negli anni alle
Camere e alle indiscrezioni sulla bozza di decreto imbastita frettolosamente
dal governo Letta subito dopo la sentenza della Corte di Strasburgo del 7
aprile di quest’anno, sicuramente è una soluzione più idonea. E tuttavia è
contraddistinta da limiti, a causa dei quali, se da un lato mi sono
mobilitata per sollecitare l’approvazione definitiva anche in Senato, onde
evitare il perdurare infinito della situazione attuale, dall’altra sono
orientata a presentare una proposta di legge di iniziativa popolare, che
risponda realmente a una visione femminile e del problema specifico e
dell’assetto sociale centrato sulla famiglia, nelle sue molteplici forme.
Ed ecco la soluzione EQUA e
non basata su uguaglianze puramente apparenti:
1_ doppio cognome quale regola
base, con priorità sequenziale del cognome materno in caso di
filiazione biologica e con priorità stabilita per sorteggio in caso di
genitori entrambi adottanti, salvo diverso accordo sull’ordine espresso dai
genitori;
2_ possibilità di deroga alla
regola base del doppio cognome con attribuzione di un cognome unico a scelta
(materno o paterno) SOLO tramite dichiarazione concorde di entrambi i
genitori;
3_ diritto del figlio
maggiorenne di modificare l’ordine dei due cognomi attribuitigli o di
sopprimere uno dei due cognomi a sua scelta, ovvero di aggiungere il cognome
dell’altro genitore e nell’ordine da lui preferito, qualora ne avesse
ricevuto uno soltanto.
Nessun offensivo e autoritario
ordine alfabetico che si sovrapponga all’ordine di natura, nessun sorteggio
se non in caso di disaccordo tra genitori entrambi adottanti, nessun litigio
che attenti all’auspicabile armonia tra i genitori, nel matrimonio e al di
fuori di esso.
Tirando le somme del discorso,
ciò dobbiamo assolutamente ottenere - sia in caso di approvazione del Ddl 360
attualmente fermo al Senato (che pertanto necessiterà di una modifica
successiva), sia in caso di cassazione del Ddl - è che si smetta di
continuare a correre appresso all’identità maschile corrente, per
ottenere un’equiparazione affannata al LOGOS primigenio e fallico del
“PADRE”. e si cominci a partire dalla riflessione sull’identità
femminile per fondare sulla coscienza femminile “materna”
(in un senso coincidente con quello proprio delle società matriarcali) la NORMA.
Convegni citati:
CULTURE INDIGENE DI PACE:
donne e uomini oltre il conflitto (->∆)
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11.11.2014
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© Iole Natoli
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Il cognome patrilineare, in Italia come in ogni Paese in cui vige, è il burqa culturale delle donne (©Iole Natoli).
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