IL COGNOME MATERNO E “LA NORMA”
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di Iole Natoli
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È esperienza comune che in Italia i figli vengono registrati all’anagrafe con il solo cognome paterno, se nati nel matrimonio o se riconosciuti contestualmente da madre e padre nel caso di genitori non sposati.
Su tale abuso perpetrato dallo Stato molte donne ancora oggi si astengono dal riflettere, senza accorgersi di rendersi complici in tal modo di un messaggio estremamente dannoso, che per questa via viene trasmesso all’infanzia. La patronimia, infatti, insegna ai maschi che solo essi possono dotare di riconoscibilità nominale la prole, quasi avessero essi soltanto la dignità sociale sufficiente per farlo. Alle femmine trasmette, per converso, un messaggio di inferiorità manifesta, una sorta di incapacità giuridica che vieta loro di soddisfare la necessità del figlio di essere dotato di un cognome, mediante il quale strutturare la propria identità personale ai propri occhi e a quelli del mondo, dichiarando la propria area familiare di appartenenza.
Ma sulla base di quale presupposto le società patriarcali hanno operato tale stravolgimento di ogni logica che si basi sui fatti di natura, ai quali invece strettamente si attengono le società matriarcali viventi che ancora adottano la matrilinearità del cognome?
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Il cognome patrilineare, in Italia come in ogni Paese in cui vige, è il burqa culturale delle donne (©Iole Natoli).
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