NOMINALMENTE PRESENTI MA ABORTITI I CONTENUTI DELLA PROPOSTA TARDIVA - NON SUPERFLUO ANALIZZARNE IL PERCHÉ
di Iole Natoli
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Il 4 febbraio del 2014 venivano annunciate alla Camera e assegnate alla Commissione Giustizia (->∆) due mie successive Petizioni sul cognome dei figli - l’una sul solo doppio cognome (->∆), l’altra che introduceva l’opzione del cognome unico, materno o paterno (->∆) - centrate entrambe sul criterio della prossimità neonatale, enucleato già in un mio scritto del 5 giugno 2013 (->∆), e sul rispetto di un’ampia possibilità di scelta da parte dei figli maggiorenni.
Avevo espresso il principio della prossimità neonatale pure in un’altra mia petizione - una richiesta di emendamento all’allora nebuloso Disegno di Legge governativo C. 2123 (->∆) di cui si era avuto sentore e che sarebbe stato presentato di lì a poco - inviata anch’essa alla Camera il 4 febbraio ma annunciata soltanto il 7 marzo col n. 547 (->∆).
Tale principio, insieme alla previsione di un’articolata possibilità di scelta consentita al figlio maggiorenne, veniva recepito dalla deputata Marilena Fabbri nella sua Proposta di Legge C. 2517 (->∆), presentata stranamente alla Camera solo il 4 luglio 2014, ovvero dopo ben cinque mesi da quando la sua formulazione aveva trovato posto in Parlamento attraverso le mie due petizioni citate. Con una differenza sostanziale, peraltro. Mentre le mie proposte prevedevano il ricorso del principio di prossimità neonatale SOLO in caso di doppio cognome e dunque in relazione al semplice ordine dei due cognomi, la deputata lo prevedeva quale alternativa al disaccordo, ove i genitori non avessero espresso una scelta comune in merito al cognome unico o al doppio cognome.
Ecco a confronto le norme formulate:
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La proposta dell’on. Fabbri conteneva una contraddizione di fondo, direi un vizio di senso logico. Se quel che si considera dirimente è l’accordo, non si può far sì che le carte siano giocate in anticipo e tutte a favore di un sesso. In tal caso, infatti, la decisione è quasi determinata a priori, in quanto non c’è discussione e confronto che può impedire alla madre di attribuire al figlio il suo cognome e quello soltanto (come, ma all’inverso, era previsto dal DDL governativo n. 2123).
La cosa avrebbe invece avuto altro aspetto e sostanza se, come nella proposta contenuta nelle petizioni Natoli, il principio di prossimità neonatale fosse intervenuto nella regola base che è quella del cosiddetto doppio cognome solo per l’ordine dei due cognomi (peraltro con possibilità di opzione per l’ordine inverso, purché concordemente formulata) e senza avere alcun peso determinante sulla scelta del cognome che il figlio ormai adulto avrebbe effettuato, nel divenire a sua volta genitore (come da primo comma).
Nella Petizione Natoli sopra riportata, si prevedeva inoltre che, qualora la regola del doppio cognome non fosse risultata gradita ai due genitori ed essi avessero espresso congiuntamente una scelta diversa, il figlio avrebbe assunto il cognome da entrambi indicato, paterno o materno che fosse, e quello soltanto.
Dalla formula appena enunciata è assente qualsiasi prevaricazione nei confronti del padre, che non viene messo all’angolo ma è titolare di pari dignità, essendo d’altronde titolare dell’obbligo di prendersi cura del figlio esattamente come la madre. In altri termini, la prossimità neonatale da me enunciata e di cui avevo chiesto l’applicazione non cancellava e non cancella nessuno, ma riconosce - e non nasconde - l’indubbio legame iniziale che intercorre tra madre e figlio e tra figlio e madre, legame che col padre si stabilirà invece successivamente alla messa al mondo del figlio operata solamente dalla donna. In detta stesura c’era e c’è rispetto e corresponsabilità, mai cancellazione.
Appropriata appare invece la norma che era presente al 3° comma del primo articolo della proposta Fabbri, considerate le modalità discutibili con cui viene condotta attualmente la registrazione anagrafica del figlio.
Spiace che l’on. Fabbri non abbia incluso - un dispiacere molto ma molto parziale, visto che poi l’intera sua proposta è annegata nel tutto uniformante - un altro comma dell’art. 1 della petizione Natoli, che prevedeva quanto segue:
«Il cognome indicato dal genitore o assegnato dall'Ufficiale di stato civile ai sensi del precedente comma deve necessariamente coincidere con il cognome che sia già stato assunto da un figlio legalmente riconosciuto, nato da un matrimonio o al di fuori di esso».
Spiace perché si dimostra come ci si preoccupi solo dell’uniformità dei cognomi tra i figli della stessa coppia (vedere art. 143-quater, comma 3 del testo poi approvato dalla Camera) e mai del legame tra i figli che uno stesso genitore può aver avuto da unioni diverse. Evidentemente l’abnorme situazione attuale in base alla quale i figli di una donna nati da diverse unioni non hanno in comune alcun cognome non appare tanto abnorme ai legislatori, al punto che la si sta estendendo invece di eliminarla.
Uomini, preparatevi: se avrete scelto per i vostri figli il solo cognome materno e poi avrete altri figli da un’altra donna, non servirà che diate ai figli nati dalla seconda unione il vostro cognome affinché i piccoli risultino fratelli. Saranno sempre apparentemente estranei, esattamente come accade INGIUSTAMENTE adesso ai figli nati da unioni diverse delle madri.
Ed ecco poste a confronto le norme ipotizzate per la scelta operata dal figlio maggiorenne.
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A questo punto si delinea un quesito. Perché la proposta C. 2517 fu presentata solamente all’inizio di luglio dall’on. Marilena Fabbri cosicché poté essere - in linea puramente teorica - accorpata al testo unificato in data 22 luglio, come apprendiamo dalle parole della Presidente nel resoconto della seduta n. 297 di mercoledì 24 settembre 2014? «Avverto, inoltre», dice la Presidente, «che nella seduta del 22 luglio la Commissione giustizia ha proceduto all'abbinamento della proposta di legge Fabbri n. 2517: “Modifiche al codice civile in materia di cognomi dei coniugi e dei figli”, che deve pertanto intendersi ricompresa nella relazione sui progetti di legge in esame» (->∆, p. 101). Il 22 luglio era l’ultimo giorno dell’iter in Commissione che si era aperto il 27 maggio, ma il 14 luglio era già iniziata la discussione in Assemblea in merito alle linee generali.
Ne consegue che nella prima seduta d’Assemblea del 14 luglio (A.C. 360-A ed abbinati) l’A.C. 2517 non sarebbe potuto essere tra gli abbinati e infatti non ci fu (->∆, p. 22), che il 16 luglio 2014 l’A.C. 2517 risultava ancora inesistente (->∆, p. 19) dato che fu abbinato in Commissione solo 6 giorni più tardi e che in detta seduta d’Assemblea n. 265 del 16 luglio venivano approvati gli articoli 1, 2 e 3 ed espressi i pareri della relatrice e del rappresentante del Governo sulle proposte emendative riferite all'articolo 4», emendamenti presentati dall’on. Nicchi e altri cofirmatari che ampliavano la possibilità di opzione del figlio maggiorenne.
Ora, l’on. Fabbri risultava già cofirmataria di un’altra proposta di legge, l’A.C. 360 del 2013 a firma di Garavini e altri, che si muoveva su binari diversi da quelli da lei sposati il 4 luglio 2014 nel suo A.C. 2517. Certamente, il fatto che l’onorevole abbia presentato una proposta da prima firmataria in tema di cognome dei figli giova alla complessità e ricchezza della sua attività legislativa, rende manifestamente più esteso il suo impegno che però si sarebbe inevitabilmente arenato - ed è strano che Fabbri non lo avesse previsto - a causa dei tempi di discussione. A datare dal 14 luglio, come già rilevato, si era infatti in sede di discussione in Assemblea e non più solamente in Commissione (->∆) e chiaramente gli articoli già approvati dall’Assemblea - tra cui l’1 corrispondente e contrario all’1 della proposta Fabbri - non sarebbero potuti più essere cambiati.
Una mia email inviata all’onorevole, contenente una richiesta di chiarimenti, è rimasta fino a oggi priva di risposta. Non possiamo che fermarci dunque alle domande e meditare su alcune occasioni mancate, che incideranno negativamente sulla portata dell’innovazione affidata al DDL approvato dalla Camera, sempre che alle carenze rilevate non decida di porre rimedio il Senato.
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Milano, 17 Marzo 2015
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© Iole Natoli
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Il cognome patrilineare, in Italia come in ogni Paese in cui vige, è il burqa culturale delle donne (©Iole Natoli).
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