Cognome dei Coniugi e dei
Figli. Criticità nei DdL esistenti |
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Giulia Bongiorno: «La violenza è conseguenza di un ordine sociale diseguale, di una relazione che colloca gli uomini in una posizione di privilegiata supremazia e le donne in una situazione di subordinazione, debolezza, dipendenza, incompiutezza. (…) La violenza va dunque spiegata innanzitutto come retaggio culturale di una struttura sociale patriarcale, fondata su quell’autorità che il pater familias esercitava nell’antica Roma». E con riferimento agli attacchi fisici compiuti ai danni delle donne, l’autrice aggiunge: «Eloquenti in tal senso sono i frequentissimi atti di spersonalizzazione della vittima». Dal libro Con la scusa dell’amore, di Giulia Bongiorno e Michelle Hunziker, pp.88-89. Domande della scrivente: con misure legislative antistoriche, gioca a favore dei femminicidi e pone a rischio la vita delle donne? ________________________________
Nel dicembre dello scorso anno, ho inviato alla senatrice Bongiorno, Presidente della Commissione Giustizia del Senato, una richiesta di audizione (1) che con questa lettera aperta ora sollecito. La mia richiesta non nasceva e non nasce da un capriccio, ma dal lungo percorso attivo sul tema del cognome della donna e dei figli, iniziato nel 1979 (2) e che da allora non è mai stato interrotto. Cosa mi riprometto di dire alle e ai componenti delle due Commissioni Giustizia? Non basta che io lo scriva in una Lettera? Probabilmente no. Dalle parole scritte siamo ormai tutte e tutti soverchiati in questi tempi di messaggi via social e spesso non ci facciamo più caso. Un colloquio, uno scambio, una presenza richiama invece alla soggettività personale e induce a una più attenta riflessione. Nelle proposte presenti in Parlamento, accanto ad alcuni passi avanti rispetto alle formulazioni precedenti – non tutte, infatti, sono semplici ripetizioni di quelle antecedenti alla sentenza 131/2023 della Consulta – si registrano taluni passi indietro, di cui è sfuggita di fatto l’importanza. Tra questi, la massiccia presenza dell’aggiunta del cognome del coniuge nel matrimonio, come possibilità e non più obbligo solo per le donne – salvo nel caso di un comma passibile di eccezione di costituzionalità, riscontrato nel DdL Unterberger -, che può essere esercitata da entrambi i coniugi o da uno soltanto. Si potrebbe pensare che rispetto al testo licenziato alla
Camera nella XVII legislatura - e mai discusso nell’assemblea del Senato - ci
sia un’evoluzione considerevole, dato che, dopo l’iniziale proposta di
soppressione del 143-bis contenuta in alcuni DdL di allora, questa modifica
era stata cassata, lasciando dunque inalterata l’attuale situazione di
aggiunta incostituzionalmente riservata alle donne. “Oh, ma ciò che conta è che le donne POSSANO fare diversamente se vogliono!”, si potrebbe eventualmente obiettare. No. Non è così. Scegliere in piena coscienza vuol dire essere consapevoli di ciò che da ciascuna scelta operata consegue e questo non avviene nella popolazione con un semplice cambiamento sulla carta, se quella carta contiene una qualche porta spalancata da cui entra con prepotenza il passato. Quel che serve è sbarrare la porta, SE ciò che si vuole realmente ottenere è un mutamento culturale profondo. In alcune relazioni premesse ai DdL del Senato, si citano due Risoluzioni del Consiglio d’Europa, del 1995 e del 1998, in cui si accenna al “cognome di famiglia”, le quali erano volte però a contrastare la pretesa di indicare nel cognome patrilineare la garanzia dell’unità familiare (pretesa fatta a pezzi dalla sentenza della CEDU del 7 gennaio 2014). Si dimentica peraltro che tali considerazioni venivano espresse in un periodo in cui la patrilinearità era ancora in molti stati la dominante assoluta, cosicché la scelta di un cognome comune “di famiglia” poteva apparire un passo aventi rispetto alla prassi discriminatoria di allora. Oggi, nel 2023, è soltanto un grave passo indietro. Sappiamo che il fantasma del “per sempre” è quello che agita le menti dei futuri aggressori o assassini, prima ancora che diventino tali. Costoro attribuiscono il carattere di indissolubilità a ogni legame sentimentale che almeno in un primo stadio abbia le caratteristiche di riuscire loro gradito e di rassicurarli, di promettere la continuità di un appoggio-dipendenza. Lo pensano già da fidanzati. “Sarà sempre al mio fianco, mi supporterà in ogni momento della mia vita, dunque convivrò con lei o la sposerò, per continuare così sino alla morte” (in quella fase immaginata ancora come morte naturale di entrambi). Alimentare questo presupposto con la possibilità di un “cognome di famiglia comune” significa agire verso la “spersonalizzazione” di chi contrae un legame affettivo. Convivendo o sposandosi non si diventa solo o anche l’altro/a, ci si pone o ci si dovrebbe porre in un continuo dialogo con l’altra/o, per adottare soluzioni utili a entrambi (e ai figli, quando ci sono), senza prevaricazioni di sorta. Chiedo di conseguenza che si elimini il ricorso al cognome comune, che non è presente in tutte le legislazioni europee, né, se lo fosse, ciò costituirebbe garanzia della bontà di una tal soluzione. La Spagna, ad esempio, che ha aggiornato due volte (di cui l’ultima è abbastanza recente) le sue antiche norme sul doppio cognome, non ha introdotto questa ingombrante presenza. Questo non è però l’unico punto debole dei DdL che ritengo necessario rivedere nella stesura del testo unificato da portare poi in Assemblea. C’è anche un serio problema di linguaggio che va analizzato e risolto. Senatrice Bongiorno e senatrici proponenti tutte,
potreste fornirmi una spiegazione valida del perché può apparirvi di scarso
rilievo che nei DdL presentati si dia «precedenza enunciativa, contraria
perfino all’ordine alfabetico, al cognome del padre rispetto a quello
della madre o di entrambi», operando con ciò un «raccordo ideologico con
la tradizione precedente il cui fondamento è stato dichiarato DEFINITIVAMENTE
illegittimo» dalla Corte? Un linguaggio che “salva la priorità” della
discendenza dal padre rispetto alla discendenza dalla madre tradisce la
funzione profonda della riforma necessaria, che è quella di eliminare
ogni rapporto di forza che neghi la realtà della natura» (3). Creare un raccordo evidente col sistema della patrilinearità obbligatoria, dichiarato dalla Consulta ILLEGITTIMO ab origine, significa indurre le donne meno avvertite (che su questo tema costituiscono purtroppo la massa) a perpetuare, in omaggio alla tradizione consolidata, il primo e potente MODELLO SOPPRESSIVO dell'identità femminile che è stato inculcato in tutte le generazioni su tutto il territorio nazionale. Da più parti si leva oggi il grido “occorre una
rivoluzione culturale, per fermare il proliferare dei femminicidi!” ed è un
grido a cui si associano anche gli uomini, spesso colpiti ferocemente in
prima persona dall’assassinio di una loro figlia. Non ci sarà una nuova riforma di legge successiva, sempre che questa vada in porto nell’attuale legislatura. Di conseguenza le modifiche necessarie vanno affrontate adesso. Non è possibile nascondere sotto il tappeto i resti dello statuto patriarcale, che finirebbe col permanere indisturbato nel prevedibile ripiegamento sull’abitudine. Ci sono anche altri punti da trattare, che però non richiamo avendoli già espressi in vari scritti e ripresi nella mia più recente Petizione (4) allegata al vostro fascicolo. Potrò elencarli però a viva voce, se, Senatrice Bongiorno, la mia richiesta di audizione sarà accolta, richiesta condivisa da Laura Cima, di cui ricordo qui il primo progetto di legge parlamentare nell’Italia repubblicana sul doppio cognome e una Petizione (5), oggi con oltre 55.000 firme, presentata in Parlamento nel 2014 per la calendarizzazione della discussione sulle proposte. Senatrice Bongiorno, alla pagina 39 del libro già citato Lei
scrive: «non mi sento un’eccezione, piuttosto un’unità di quell’esercito di
sopravvissute ai pregiudizi che ora guardano indietro con un pizzico di
orgoglio per la propria tenacia. Perché è con la tenacia che si superano i
pregiudizi, non solo con la bravura, tantomeno con la fortuna. Non basta
nemmeno la genialità: puoi anche essere un genio, ma se i pregiudizi ti
mandano al tappeto cento volte e non hai la tenacia di rialzarti anche alla
centesima non ce la fai». Nel ringraziarla per la cortese lettura, resto in attesa di una sua risposta. Iole Natoli Laura
Cima ___________ Link nel testo: 5 – Comunicato della Camera sulla Petizione lanciata da Laura Cima Chiediamo che la legge sul cognome sia approvata! presente su change.org - https://presidenteboldrini.camera.it/18?shadow_comunicato_stampa=7756 |
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6 Dicembre 2023 Attribuzione immagine: andare al link |
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Adesioni (in progress): Governo di Lei, Eliana Rasera, Nathalie Niki Pellegrino, Manuela L’Innocente, Alessandra Adesso, Giovanna Berna, Cinzia Ciriotti, Ekaterina Menchetti, Fabiana Montemurri, Frida Bertolini, Emanuela Menotti, Marina Petrucci, Alfonso Puttini, Federica Cagnolati, Iole Granato, Rosa Leone, Davide Fiorucci, Erica Villa, Barbara Todeschini, Helena Caruso |
Il cognome patrilineare, in Italia come in ogni Paese in cui vige, è il burqa culturale delle donne (©Iole Natoli).
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