QUANDO L’ARTICOLO
DETERMINA UN PO’ TROPPO
IL
SALVAGENTE LINGUISTICO DEGLI UOMINI
di Iole
Natoli
I
quotidiani abbondano del “la”. Non di una nota musicale, no: di un
banalissimo articolo femminile, senza il quale i giornalisti nostrani
perdono, come si suole dire, la trebisonda. Come faranno mai a scrivere, i
tapini, senza il prezioso discrimine del sesso?
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Fatto
salvo qualche raro tentativo recente - successivo a lettere di protesta delle
donne - continuano a farci leggere, imperterriti, “la” Fornero, “la” Camusso,
“la” Turco, “la” Bongiorno… in saecula
saeculorum e anche amen, per
confermare la patriarcale coscienza mai sopita.
Nessuno
dice o scrive "il" Passera, “il” Bersani, “il Casini” o
"il" Monti. La necessità psicologico-linguistica di specificare il
sesso della persona, titolare di un qualche cognome, va al di là della
questione dei ruoli riservati nei tempi andati solo agli uomini. I ruoli
hanno a che fare con professioni un tempo esclusivamente maschili, ma per quanto
concerne il COGNOME, c’è qualcosa di più profondo di questo.
E infatti giornalisti e conduttori non scrivono e dicono solo
"la" Severino e "la" Merkel, ma "la"
Littizzetto", "la" Sastri, "la" Maraini, "la"
Ferilli, "la" Dandini, di contro a Saviano, Baudo, Camilleri, Abatantuono e così via.
La questione non è dunque legata al ruolo, come diffusamente si ritiene,
ma alle caratteristiche intrinseche del cognome,
che è sentito come appannaggio
maschile, di cui le donne fruiscono quasi per caso. Un cognome rimanda
automaticamente al "MASCHIO"; che possa essere riferito a una
"FEMMINA" va spiegato, diligentemente, a tutto il popolo.
Accertato che il pensiero latente è proprio questo… RIAPPROPRIAMOCI DEL
COGNOME, ORA, DONNE!
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Milano,
16.05.2012
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©Iole Natoli
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Il cognome patrilineare, in Italia come in ogni Paese in cui vige, è il burqa culturale delle donne (©Iole Natoli).
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