Il mio nome non è peggio del tuo
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di Caterina Della Torre
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da: Dol's Magazine (link)
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Così
si intitolava un articolo di un quotidiano palermitano che Iole Natoli,
la fiera propugnatrice della prima istanza sul cognome materno, mi ha inviato
tempo fa perchè potessi conoscere tutto il processo mentale e
legale che l’aveva spinta a portare avanti questa battaglia già dai
lontani anni 80. Iniziativa che tanto personale non è, visto che coinvolge
tutte le donne italiane che danno, hanno dato o daranno alla luce un figlio.
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Piccolina,
con occhi vivaci e parola sciolta, vestita di un’eleganza disinvolta che si
scompigliava quando mi parlava e raccontava la sua esperienza.
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Mai
avrei detto che dietro quella persona si nascondevano una pittrice,
un’illustratrice ed una scrittrice.
Mi raccontava della sua battaglia fatta
negli anni 80 a Palermo, un anno dopo la pubblicazione del suo primo articolo
sull’argomento “La soppressione della donna nella struttura familiare”, cui
ne fecero seguito molti altri, e cinque anni dopo l’entrata in vigore
della legge n. 151 del 1975, sul nuovo diritto di famiglia, il cui art. 143
bis consentiva alla donna di conservare il suo cognome da non sposata.
Palermitana, votata alla pittura, le sue
carte le ha studiate bene. Infatti mi fa rilevare come nessun articolo del
codice civile indichi espressamente che alla nascita il cognome debba essere
solo quello del padre. Tutto deriva dall’estensione dell’art. 237 c.c.
relativo al “possesso di stato”, che, a dimostrazione delle relazioni
di filiazione e parentela fra una persona e la famiglia a cui essa
pretende di appartenere, pone tra le sue clausole “che la persona abbia
sempre portato il cognome del padre che essa pretende di avere”. Della madre
non si fa nessun cenno, ma il consolidato costume che rende il cognome del
padre l’unico attribuibile alla nascita si contrappone secondo Natoli a
quanto afferma la costituzione, che dà invece pari valore giuridico,
sociale e morale ad entrambi i coniugi.
Negli altri paesi il comportamento al
riguardo si distanzia molto da quello italiano, infatti:
in Spagna, in Portogallo e in
tutti i Paesi dell’America latina vige da tempo immemorabile il doppio
cognome.
In Germania c’è la possibilità di scegliere tra il cognome
paterno e quello materno oppure di sceglierne uno “in comune”.
In Francia
dal 2001 è consentito di aggiungere a quello del padre (obbligatorio) anche
quello della madre. In Gran Bretagna, si puo’ liberamente scegliere:
cognome comune, solo quello paterno o solo quello materno.
Tra le varie proposte succedutesi dal
1979, dapprima per un cognome unico e poi anche per un doppio cognome, spicca
quella presentata da Giuliano Pisapia nel 1996, che per la prima volta
in assoluto proponeva il solo cognome della madre per i figli nati nel
matrimonio. La reazione generale fu di scandalo, “ma nessuno si è mai
scandalizzato del contrario”, mi fa notare, sorridendo, Natoli. La proposta,
come del resto altre, è decaduta; anche le leggi oggi esistenti in Senato e
alla Camera – su un cognome unico a scelta e sul doppio cognome – sono ferme
e quasi pronte a scomparire per la prossima fine della legislatura.
Tuttavia è significativo che la Corte
Costituzionale, chiamata più volte ad esprimersi in materia dalla Corte
di Cassazione, abbia rilevato la necessità di nuove norme compatibili col
dettato costituzionale e con gli impegni che ci derivano dall’adesione ai
trattati internazionali, che prescrivono la rimozione di ogni discriminazione
nei confronti della donna anche nel cognome della famiglia e dei figli.
Probabilmente la battaglia di Iole riuscirà a raggiungere il suo
obiettivo nonostante le difficoltà e le ricusazioni ottenute.
Possibile che una consuetudine,
sostenuta solo da norme indirette e parziali, l’abbia vinta? O c’è
qualcos’altro che si nasconde dietro questo diniego, come la necessità di
molti padri di avere la conferma della paternità dei figli attraverso il
cognome, retaggio di uno spirito patriarcale ormai perso?
Iole propone di partecipare l’8 marzo a
Vi aspettiamo.
Iole Natoli
Pittrice, illustratrice, giornalista e scrittrice, dopo
una lunga permanenza a Palermo, sua città natale, vive da diversi anni a
Milano. Ha pubblicato “Analisi di un tango”, saggio sul film di Bertolucci
“L’ultimo tango a Parigi”, la breve raccolta di poesie “Vogliamo essere noi a
cantare” (Vittorietti, Palermo) e altre della raccolta “Pensieri dispettosi e
vagabondi” (Alla Bottega, Milano), i racconti “Il lavoro” (L’Eco di Bergamo,
Premio Letterario Straparola Città di Caravaggio, 1994) e “Il figlio” (Alla
Bottega, Milano, 1995), il monologo “Il sacco a pelo” (Alla Bottega, Milano,
1996). È stata finalista del Premio di Poesia Controcorrente 2003 con “Ore
Due Notte”. Dal ’77 ha esposto opere di disegno e pittura, in personali e
collettive anche estere. Nel ’95, nel corso di una sua personale alla Villa
Visconti Borromeo Litta di Lainate, ha recitato e diretto la lettura dei suoi
testi poetici “Pensieri dispettosi e vagabondi”. Sua la prima iniziativa
giudiziaria in Italia per l’attribuzione del cognome della donna ai figli
nati nel matrimonio.
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29.02.2012
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©
Caterina Della Torre
Dol's Magazine |
Il cognome patrilineare, in Italia come in ogni Paese in cui vige, è il burqa culturale delle donne (©Iole Natoli).
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