Quando nel 1979
cominciai a scrivere sul cognome materno, formulando per la prima
volta nella Repubblica Italiana le indicazioni per una proposta di legge
basata sul doppio cognome (nel Regno d'Italia mi aveva preceduta
di un secolo il deputato pugliese Salvatore Morelli), non pensavo al
cognome materno come fatto a sé stante, ma come espressione simbolica
della relazione primaria madre-figlio.
A distanza di
tanti anni intervengo sulla pratica della Gpa che si vorrebbe introdurre in
Italia, mossa dalla stessa convinzione. La relazione madre-figlio
non è primaria solo temporalmente, lo è anche per importanza
fondante e volerla stravolgere alienando il figlio dalla donna che
lo partorisce costituisce una violazione delle norme di natura oltre che del
diritto del bambino.
Riporto dunque
qui un articolo pubblicato su "Femminismi a confronto e laicità", in quanto lo
ritengo inerente al mio tema di sempre.
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Le
incongruenze della Gpa
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di Iole
Natoli
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Al di là della
lesione del diritto naturale del bambino e dello stato di contenitore-oggetto
a cui viene ridotta la donna con la pratica della Gpa, temi sui quali ho
scritto in altre pagine del blog (link), v’è un elemento che non viene mai
rilevato e consiste nell’aspetto
giuridico di questa “rivoluzione culturale”… che di fatto rivoluzione non
è e riporta anzi ai tempi in cui la donna veniva paragonata alla “terra”,
inseminata dal maschio padrone.
Il punto centrale della Gpa è per i committenti la certezza
che la gestante non possa decidere di tenere con sé il bimbo che ha
partorito. Da lì la ricerca di contratti preimpianto, che garantiscano il
“licenziamento” della partoriente a risultato ottenuto. In questa direzione
si colloca la proposta dell’Associazione Luca Coscioni (link), fantasiosamente definita
“gestazione etica” che con l’Art. 1
prevede:
«Per gestazione per altri s’intende
quella di una donna che volontariamente e liberamente ospita nel proprio
utero, fino al termine della gravidanza, un embrione prodotto attraverso le
tecniche di fecondazione in vitro e che, prima
dell’inizio della gestazione, si è
impegnata con atto irrevocabile, da sola o unitamente alla persona con cui è sposata o è
convivente, a partorire il figlio del genitore o dei genitori e a rinunciare a qualsivoglia diritto
genitoriale sul bambino che nascerà. Tutti i soggetti qui coinvolti
accettano integralmente il contenuto del successivo articolo 6 con
dichiarazione inclusa nell’atto di cui al successivo articolo 5».
Il tutto confortato da un atto definito dall’art.5, che assume
il preciso valore di contratto.
La stesura di un simile progetto denota una consistente
“distrazione”. Negli USA - non so se dovunque o solo in alcuni stati - in
effetti funziona così; in altri luoghi tra quelli che la consentono no, ma questi ultimi non sono tra i più gettonati
dai committenti. Da noi una simile
prassi contrattuale non potrebbe rientrare nel Diritto e non solo perché
postula l’alienazione “volontaria” della donna, ma per un fatto per così
dire “a monte”.
Da noi le leggi prevedono che il genitore possa e debba
esercitare la responsabilità (ex potestà) genitoriale SOLO nell’interesse del
figlio e in rappresentanza legale di quest’ultimo. Al di fuori di tale
situazione la sua azione legale è interamente nulla.
Ora, visto che il
figlio al tempo dell’impianto ancora non c’è, come potrebbe un qualsiasi
aspirante futuro (e conseguentemente anche ipotetico) genitore di qualsiasi
sesso chiedere allo Stato italiano di considerare valido un qualsiasi
contratto, che potrebbe aver valore
solo se all’embrione venisse riconosciuto lo Statuto di Persona, che di
fatto non ha?
Non diciamolo ad
Adinolfi, altrimenti pur di giungere all’abolizione della legge sull’aborto
si converte e sposa la causa della Gpa…
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27.10.2017
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© Iole Natoli
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Il cognome patrilineare, in Italia come in ogni Paese in cui vige, è il burqa culturale delle donne (©Iole Natoli).
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