DUE SENTENZE
E UN DISEGNO DI LEGGE A CONFRONTO
|
|
di Iole Natoli *
|
|
Il 21 dicembre 2016 è stata depositata la sentenza della Consulta, riguardante una richiesta di aggiunta del cognome materno (->∆). Il caso su cui la Corte si è pronunciata riguardava un bimbo nato in costanza di matrimonio e titolare di doppia cittadinanza, che veniva identificato in Brasile con il doppio cognome, paterno e materno, e in Italia con il solo cognome del padre. |
|
La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di quanto viene usualmente desunto da alcuni articoli del codice civile, da un articolo del regio decreto n. 1238 del 1939 (Ordinamento dello stato civile) e da altri articoli del D.P.R. n. 396 del 2000 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile), nelle parti in cui non consentono “ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli” al momento della nascita nonché in quello dell’adozione, “anche il cognome materno”.
Quasi scontate appaiono tali conclusioni dopo la
sentenza di Strasburgo del 2014; molto meno, invece, le motivazioni addotte,
che non mi sembra siano state fin qui analizzate compiutamente dalla stampa e
persino dai giuristi.
Preliminarmente rilevo che:
- la pronuncia è limitata, com’era ovvio e come
quindi si prevedeva, al ricorso in questione e alla sua tipologia, ovvero ai
casi di doppio cognome da attribuire alla nascita o all’atto dell’adozione, in presenza di accordo tra i genitori;
- si registra il termine “trasmissione” in
relazione al cognome, utilizzato dalla Corte Europea e dunque in qualche modo
legittimato, benché l’ordinamento giuridico italiano lo abbia in altre
occasioni negato (Tribunale ordinario di Palermo, 1982 ->) insistendo sull’attribuzione “ipso iure” del
cognome e definendo la natura di tale atto come “estensione” del cognome dal genitore
al figlio (orientamento che viene peraltro ribadito in questa stessa sentenza
della Consulta);
- si trova esplicito riferimento alla
discriminazione nei confronti della donna e alla lesione della pari dignità
dei genitori, con citazione della sentenza di Strasburgo del 7 gennaio 2014
determinata dal caso Cusan-Fazzo.
Ciò che invece nella sentenza della Corte Europea era
assente e che trova posto nella
sentenza della Corte Costituzionale italiana, inizialmente con una
qualche circospezione e in altri punti con maggiore forza, è il diritto del figlio.
Sotto la sigla ”Considerato in diritto” leggiamo:
«Nella
famiglia fondata sul matrimonio rimane così tuttora preclusa la possibilità
per la madre di attribuire al figlio, sin dalla nascita, il proprio cognome,
nonché la possibilità per il
figlio di essere identificato, sin dalla nascita, anche con il cognome della
madre».
“Possibilità”
per il figlio fin qui e non ancora “diritto”. Subito dopo l’argomentazione si
fa invece stringente:
«3.4.– La Corte ritiene che siffatta preclusione
pregiudichi il diritto all’identità personale del minore e, al contempo,
costituisca un’irragionevole disparità di trattamento tra i coniugi, che non
trova alcuna giustificazione nella finalità di salvaguardia dell’unità
familiare».
Ancora:
«La piena ed effettiva realizzazione del diritto all’identità personale, che nel nome trova il suo primo ed immediato riscontro, unitamente al riconoscimento del paritario rilievo di entrambe le figure genitoriali nel processo di costruzione di tale identità personale, impone l’affermazione del diritto del figlio ad essere identificato, sin dalla nascita, attraverso l’attribuzione del cognome di entrambi i genitori.
Viceversa,
la previsione dell’inderogabile
prevalenza del cognome paterno sacrifica il diritto all’identità del minore,
negandogli la possibilità di essere identificato, sin dalla nascita, anche
con il cognome materno».
Attenzione, non «negandogli la
possibilità di essere identificato» alla nascita «con il cognome materno» in
luogo del paterno, ma di averli fin
dalla nascita entrambi. Non averli entrambi configura espressamente
per la Consulta un sacrificio del
diritto del minore.
Ed è su
questo che la sentenza della Corte Costituzionale italiana si distanzia,
seppur sommessamente, dalla sentenza della Corte Europea, che si era limitata
a rilevare come la prevalenza assoluta del cognome paterno determinasse
violazione dell’art. 14 (divieto di discriminazione) in combinato disposto
con l’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), emettendo
così una sentenza che valutava esclusivamente il diritto degli adulti, laddove quella della Consulta, pur
accogliendo gli stessi principi e le stesse considerazioni, postula l’inviolabilità di un altro
diritto, quello del bambino, ovvero del figlio al momento della nascita (o
dell’adozione).
«3.4.1.– (…) la distonia di tale
norma rispetto alla garanzia della
piena realizzazione del diritto all’identità personale, avente
copertura costituzionale assoluta, ai sensi dell’art. 2 Cost., risulta
avvalorata nell’attuale quadro ordinamentale.
Il valore dell’identità della
persona, nella pienezza e complessità delle sue espressioni, e la
consapevolezza della valenza, pubblicistica e privatistica, del diritto al nome, quale punto di emersione
dell’appartenenza del singolo ad un gruppo familiare, portano ad
individuare nei criteri di attribuzione del cognome del minore profili
determinanti della sua identità personale, che si proietta nella sua
personalità sociale, ai sensi dell’art. 2 Cost.».
Viene
spontaneo porsi qualche domanda. Perché la Corte afferma che la prevalenza
giuridica di un cognome - nella fattispecie di quello paterno - costituisce
una preclusione che pregiudica il diritto all’identità personale del
minore, scrive che “la piena ed
effettiva realizzazione del diritto all’identità personale (…) impone l’affermazione
del diritto del figlio ad essere identificato, sin dalla nascita, attraverso
l’attribuzione del cognome di entrambi i genitori, ma evita di giungere da sé alla conclusione che da tali premesse
discende, cioè che l’attribuzione del cognome di un solo genitore, che sia
quello del padre o della madre, configura violazione del diritto del figlio?
Forse per
non smentire in modo diretto la sentenza della Corte Europea emessa proprio
per un caso di richiesta (che era stata respinta) di attribuzione del solo
cognome materno? Questo aspetto avrà avuto sicuramente il suo peso.
C’è un altro
dato, però da considerare: la Corte Costituzionale sa - e non potrebbe non
saperlo - che è stata posta in essere nel nostro Stato «un’intensa attività
preparatoria di interventi legislativi volti a disciplinare secondo nuovi
criteri la materia dell’attribuzione del cognome ai figli», che al momento
sono «ancora in itinere».
Dichiarare senza lasciare in ombra
proprio nulla che il doppio cognome rappresenta per la Corte l’unica
soluzione praticabile, quale attuazione del diritto del minore di cui sopra,
avrebbe significato senza dubbio un’intromissione dell’attività giudiziaria,
non richiesta da alcuno, nell’attività legislativa del Parlamento,
intromissione che avrebbe potuto creare ostacoli al disegno di legge fermo al
Senato, mantenendo per tempi non
determinabili lo status quo di una normativa dichiarata più volte
incostituzionale.
Certo non è
da escludere che, qualora la legge delle tre possibilità (doppio cognome o
solo cognome del padre o solo cognome della madre) venisse approvata,
qualcuno un giorno potrebbe decidere d’impugnarla per lesione del diritto del
minore. In tal caso la Consulta sarebbe ufficialmente chiamata a
pronunciarsi; non vi sarebbe intromissione alcuna ma esercizio di una
funzione statutaria. CHI, però, potrebbe avere un interesse di tal natura?
Certamente non uno dei due genitori, casomai un figlio che però alla maggiore
età avrebbe, per applicazione di quella legge in fieri, il diritto di
aggiungere al cognome avuto quello mancante dell’altro genitore.
Tutto sommato l’eventualità di
un’impugnazione appare più probabile per altre cose (->, ->), ad esempio per l’impossibilità
del maggiorenne di invertire l’ordine dei due cognomi o di toglierne uno dei
due, se non gradito, senza richieste speciali iscrivibili sotto l’umiliante
profilo della “concessione”.
Per il
momento non possiamo che rimanere anche noi, come la Consulta, «in attesa di
un indifferibile intervento legislativo, destinato a disciplinare
organicamente la materia, secondo criteri finalmente consoni al principio di
parità», dato che il DdL 1628 ancora fermo al Senato, per quanto imperfetto
sotto più punti di vista, appare molto meno criticabile del perdurare di una
situazione illegittima, che trae solo dalla mancata opera del legislatore la
sua offensiva e inaccettabile forza.
|
|
6.01.2017
|
© Iole Natoli
ideatrice del primo progetto italiano di doppio cognome
per i figli (1979)
e fautrice dell’abolizione del 143-bis c.c. (cognome coniugale per la donna) |
Il cognome patrilineare, in Italia come in ogni Paese in cui vige, è il burqa culturale delle donne (©Iole Natoli).
▼
Nessun commento:
Posta un commento