Alla
Deputata e Ministra Fabiana Dadone
e, per conoscenza, alla Presidente della Commissione Giustizia della Camera, Francesca Businarolo; al Presidente della Commissione Giustizia del Senato, Andrea Ostellari; alla Ministra per le Pari Opportunità e per la Famiglia, Elena Bonetti e al Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. |
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di Iole Natoli
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abbiamo appreso dalla stampa della sua
intenzione di far sì che una riforma che contempli il diritto delle donne di
attribuire il loro cognome ai propri figli - cui corrisponde il diritto dei figli
di poter avere il cognome delle persone che li hanno messi al mondo, madri e
non padri – e riponiamo le nostre speranze nella realizzazione di tale suo
impegno.
Proprio perché contiamo su questo e al
fine di ottenere la migliore riforma possibile, riteniamo di segnalare
alla sua attenzione alcuni punti critici rilevati nelle sei proposte
di legge attualmente presenti in Parlamento.
Un confronto fra tali proposte pone in
luce talune differenze.
La prima criticità che salta agli occhi riguarda l’introduzione
del diritto dei genitori di attribuire il proprio cognome ai figli.
Questo opererebbe una trasformazione
sostanziale nella nostra giurisprudenza. Come rilevato molti anni addietro da
un giudice nella sentenza relativa alla prima causa italiana
con richiesta di attribuzione del cognome materno ai figli (1° link), secondo il nostro ordinamento il
genitore non impone mai il proprio cognome, nemmeno il padre come
diffusamente si crede. Cito da detta sentenza: il figlio, attualmente,
acquista “ipso iure”, ovvero per volontà della legge, lo stesso cognome
del padre in quanto esso, «come ha osservato la più attenta
dottrina, non si trasmette dal padre al figlio, ma si estende da quello
a questo: trattasi cioè di un acquisto necessario che prescinde
dall’interesse dei genitori (quale che ne sia il sesso) e quindi dal
vantaggio o dal pregiudizio che a ciascuno di essi possa arrecare».
Certamente modificare tale assunto
porterebbe a un riconoscimento inequivocabile di parità genitoriale ma
creerebbe al tempo stesso qualche problema, specie in assenza di altri
articoli volti ad assicurare ai figli le legittime possibilità di modifica.
Un figlio adulto -o un genitore per un
minore- che chiede l’abolizione di uno dei due cognomi eventualmente
attribuiti alla nascita, o la sostituzione dell’unico cognome con quello non
attribuito, incontra oggi enormi difficoltà con conseguente rigetto della
domanda, per un incancrenito omaggio alla patrilinearità patriarcale.
Figuriamoci se il suo cognome diventa un diritto del genitore e
non più suo!
Di conseguenza chiedo: ma serve
davvero spostare il diritto dal figlio ai genitori? Non sarebbe meglio occuparsi
di ampliare il diritto del figlio di aggiungere o rimuovere o
sostituire uno dei suoi cognomi (purché d’uno dei genitori), rivolgendosi
direttamente all’anagrafe e non al Prefetto o a un Tribunale?
Seconda criticità. Alcune proposte prevedono
l’eliminazione o la sostituzione del 143-bis, secondo il quale la
donna col matrimonio aggiunge al proprio il cognome del marito; altre non
trattano l’argomento.
Sappiamo bene cosa avvenne nella
legislatura precedente.
A seguito di un’audizione non registrata e del cui contenuto non vi è traccia sul sito della Camera, accadde quanto si apprende dal Resoconto n. 265 di Giovedì 3 luglio 2014. «Michela MARZANO (PD), relatore, chiarisce che la nuova proposta di testo unificato presenta talune modificazioni. (…) La prima concerne l’eliminazione dell’articolo 1 che riguardava il cognome dei coniugi, in quanto si tratta di una materia che richiederebbe un autonomo esame ed approfondimento. Si è quindi delimitato l’oggetto dell’esame al solo cognome dei figli» (2° link).
Personalmente presentai una petizione
(3° link) in cui illustravo come fosse
possibile ovviare in modo semplice alle “criticità” rilevate, senza mantenere
in vita un articolo che offende la dignità delle donne e viola gli artt. 8 e
14 della CEDU oltre che la nostra stessa Costituzione, ma poi quel testo,
approdato col n.1628 al Senato, morì indiscusso con la fine della
legislatura.
Sull’argomento sono tornata di recente con un’altra petizione, a
seguito dell’inclusione del cognome maritale nei certificati elettorali delle
donne coniugate nelle elezioni europee di quest’anno (4° link).
Gentile Ministra e Deputata, la prego
di esaminare quanto da me suggerito in dette due petizioni, tenendo presente
che il mantenimento del 143-bis non soltanto viola il diritto delle donne ma
costituisce uno strumento di condizionamento di cui si avvalgono non pochi
uomini per “convincere” le mogli a rinunciare all’attribuzione del proprio
cognome ai figli.
Riporto un commento, peraltro di un
“legale”, apparso su una pagina FB: «La donna sposandosi fa suo ed aggiunge
al suo il cognome del marito, mentre il marito non prende quello della
moglie. Ciò detto, per quale ragione, invece, dovremmo dare al bambino il
cognome della madre?».
Allora, gentile Ministra, se vogliamo che una riforma ci sia e che
serva, evitiamo di lasciare armi improprie ma efficaci in mano alla reazione
retrograda, che cerca sempre di condizionare in un modo o nell’altro le
donne meno allenate ad opporsi a certe prevaricazioni coniugali.
Entrambi i punti sopra trattati sono
presenti in una mia petizione per una proposta di legge già annunciata
alla Camera e al Senato della presente Legislatura (5° link).
Agli artt. 4, 10 e 11 è illustrato quanto serve per l’eliminazione del 143-bis; gli articoli 3 e 6 potrebbero utilmente normare i diritti dei figli sulla modifica del cognome.
C’è
però una
terza criticità da
esaminare e questa riguarda tutti e sei i progetti parlamentari dell’attuale
legislatura. Concerne la parità che si
vorrebbe istituire con le norme sull’attribuzione dei cognomi, che mancano però
l’obiettivo per le ragioni che motivano l’art. 5 della proposta contenuta nella mia
petizione, che regola con qualche diversità significativa la materia.
Cominciamo
col dire che il sistema dell’ordine alfabetico, in caso di dissenso
tra i genitori sull’ordine dei cognomi, inficia la serenità e di
discussione tra i genitori sull’ordine, in quanto uno di essi
saprà sempre IN PARTENZA quale cognome avrà la meglio sull’altro in caso
di dissenso e si comporterà di conseguenza. Molto più ragionevole il
sorteggio, peraltro già in uso in alcuni Paesi.
C’è però un
altro aspetto che va accuratamente analizzato.
PERCHÉ si vuole varare una legge sui cognomi? Quale l’esigenza che sta a monte? Cosa si intende per parità tra i coniugi? Sino al momento del parto, tra i due genitori non c’è NESSUNA PARITÀ naturale effettiva, perché, pur a parità di materiale biologico, il genitore non fa proprio altro mentre la genitrice affronta una gravidanza e un parto per mettere al mondo il figlio di entrambi. Vi è dunque una DISPARITÀ naturale e non modificabile per legge che invece in tutte le proposte parlamentari esistenti viene interamente MASCHERATA. Se si istituisse un diritto dei genitori all’attribuzione del proprio cognome, come alcuni progetti propongono, al duplice fine di RISPETTARE la verità biologica di quel processo oneroso per le madri che fonda nella loro carne la RELAZIONE e di INSEGNARE alle nuove generazioni IL RISPETTO per le donne, la regola PARITARIA dovrebbe prevedere in prima posizione il cognome materno, senza però escludere la possibilità di un accordo diverso raggiunto dai genitori, col ricorso al sorteggio in caso di disaccordo palese.
Si vuole
sorvolare sul presunto diritto dei genitori e puntare invece sul diritto
del figlio? Bene. Il cognome o i cognomi sono attribuiti ALLA NASCITA.
Ora, alla propria nascita il figlio è palesemente in relazione psicofisica
esclusivamente con la madre e mai con il padre, col quale potrà essere
istituita una relazione soltanto dopo quell’evento cruciale. Pertanto, per
RISPETTO della RELAZIONE vissuta dal figlio, la regola di base dovrebbe
prevedere in prima posizione il cognome materno, senza però escludere la
possibilità di un accordo diverso raggiunto dai genitori, col ricorso al
sorteggio in caso di disaccordo palese, come già esposto sopra.
Non esiste una terza ipotesi da considerare, come non
esiste altra possibilità per il legislatore di indirizzare verso il rispetto
di genere con un intervento che vada alla radice del problema. Ed infatti
il nascondimento della differenza
affonda le sue radici nella cultura patriarcale sottesa.
Le sarei dunque grata, gentile ministra
Dadone, se volesse leggere l’intera proposta contenuta nella petizione già
inviata in Parlamento, citata in calce al link n. 5, soffermandosi
particolarmente
- sugli artt. 4, 10 e 11 per l’eliminazione del 143-bis; - sugli artt. 3 e 6 per il diritto del figlio alla modifica del suo cognome; - sull’art. 5, per l’ordine dei cognomi del figlio, affinché possa trarre le conclusioni che riterrà più opportuno adottare.
Porgo i miei migliori saluti.
Iole Natoli
Giornalista Blog e gruppo FB “Il Cognome materno ai figli nel matrimonio e nelle convivenze” __________________________________________________________ |
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27.09.2019
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Il cognome patrilineare, in Italia come in ogni Paese in cui vige, è il burqa culturale delle donne (©Iole Natoli).
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