Il rispetto della Costituzione e dei Trattati muterà le sorti del Cognome dei Figli in Italia? |
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di Iole Natoli
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Buongiorno, a tutti i cortesi membri della Corte. Sono stata indecisa se scriverVi o
meno, in quanto la Corte Costituzionale rappresenta ed è la massima autorità
nella valutazione della costituzionalità delle leggi e certamente non ha
bisogno di interventi di chicchessia per operare. Così, ho scelto di esprimere alcune considerazioni non tanto su ciò che, nella Vostra totale autonomia, potrete decidere sul 262 sotto esame, ma soprattutto su certe soluzioni passate che sempre la Corte, nelle sue decisioni precedenti, ha ritenuto di dover assumere. La libertà di pensiero, che la nostra Costituzione ci assicura, non può essere scambiata d’altronde per intromissione o rifiuto di accettare, quanto meno nell’immediato, le decisioni delle autorità a ciò preposte. Se così non fosse, non soltanto si smentirebbe l’art. 21 nella sua applicazione vivente ma non sarebbe nemmeno stato possibile per la coppia Cusan e Fazzo, le cui richieste erano state bocciate nel concreto con la sentenza della Corte Costituzionale del 16 febbraio 2006, n. 61, adire successivamente il Tribunale di Strasburgo con il ricorso n. 77/2007 e provocare la famosa sentenza della CEDU del 7 gennaio 2014, di cui oggi è obbligatorio tener conto. Ho letto con fiducia rinnovata la motivazione della Vostra ordinanza n.18 depositata l’11/02/2021. Non essendo una giurista – ma incontrerei forse qualche difficoltà anche se invece lo fossi – non mi appare molto chiaro il senso del passo “nella parte in cui, in mancanza di diverso accordo dei genitori, impone l’acquisizione alla nascita del cognome paterno, anziché dei cognomi di entrambi i genitori”. Ciò che suscita in me degli interrogativi è la prima parte del brano, cioè l’inciso “in mancanza di diverso accordo dei genitori”. Ora, sappiamo che, nei casi di riconoscimento successivo, è addirittura accaduto che qualche giudice sopprimesse a suo “insindacabile” giudizio il cognome materno sin lì avuto da una bimba che viveva peraltro con la madre, a vantaggio del solo cognome paterno. Sappiamo anche che, in caso di riconoscimento contestuale, la prassi dell’attribuzione dei cognomi è equiparata a quella vigente per le coppie coniugate, oggi mutata in parte per effetto della sentenza 286/16 della Corte. Sappiamo anche in che cosa consista la modifica intervenuta, cioè nella possibilità che i genitori optino per l’aggiunta del cognome materno – ma non per l’attribuzione del solo materno – per scelta comune. Ed è qui che alcune cose vanno dette e che, al contempo, si sostanzia la mia perplessità sulla possibile interpretazione di ciò che è scritto nell’ordinanza n.18. Se l’accordo dei genitori è limitato all’aggiunta del materno, senza che vi sia alcun altro accordo “diverso” possibile, a quale “diverso” accordo ci si sta riferendo nel brano? Di fatto l’accordo “diverso” dal doppio cognome è tale per modo di dire, anzi non esiste nemmeno, perché senza accordo sul doppio vige esclusivamente il cognome del padre che non abbisogna di consenso alcuno per essere sempre vivo e vegeto e giganteggiare solitario in tutta la sua stolta pochezza. Sarà un mio limite, anzi certamente lo è, ma non ho ben capito la questione. Mi è chiaro invece quel che è disceso dalla sentenza 286/16 per i figli e per le donne italiane. È stata riconosciuta l’utilità, per la formazione dell’identità della prole, del doppio cognome ovvero della presenza di un filo conduttore che colleghi tramite i due cognomi figli e figlie alle due matrici parentali di appartenenza, la paterna e la materna (o la materna e la paterna, se soltanto la mania dell’ordine alfabetico valesse anche quando ci si scontra con i residui quasi immortali della mentalità maschilista). Utilità e non necessità, perché dopo la sentenza CEDU del ’14 non è più possibile legalmente – a meno che non si vogliano misconoscere quegli articoli della CEDU, ripresi anche dalla CDFUE, che hanno determinato la decisione del Tribunale di Strasburgo – negare a una coppia il diritto di decidere in proprio per l’uno o per l’altro cognome da attribuire, se cioè il paterno o il materno. Andiamo
adesso a ciò che dalla sentenza 286/16 è conseguito specificamente per le
donne. Quel che io e anche altre ci siamo
chieste e ci chiediamo è come sia
stato possibile per la Consulta determinare di fatto una situazione che cozza
con l’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi (art. 29 Cost.), col divieto di discriminazione per
sesso (art. 3 Cost.), nonché con
gli espliciti divieti di discriminazione per sesso contenuti nei trattati internazionali
sottoscritti (artt. 14 della CEDU e 21 della CDFUE che ha accolto e
adattato la carta di Nizza), unicamente
per aver voluto limitare il giudizio a quel segmento del problema generale
collegabile alla richiesta di doppio cognome dei ricorrenti di allora.
Non so, anzi non sappiamo, con quale criterio obiettivo lo abbia fatto, dato
che ciò che oggi la Corte sta facendo è invece
sottoporre ad esame l’articolo in
sé da cui la disparità discende,
prima ancora di valutarne l’incidenza nel caso pratico dell’eccezione
presentata dal Tribunale di Bolzano. Io, le altre donne e anche alcuni
uomini, che hanno lottato per il cognome materno, nutriamo malgrado quanto esposto la fiducia che oggi non si guardi più la smagliatura ma l’insieme
del tessuto sociale e giuridico esistente e che si possa determinare con
serenità e coraggio il cambiamento. Speriamo dunque vivamente che non si continui ad aspettare che il Parlamento, in una delle sue fiacche Legislature, faccia quanto da tempo avrebbe dovuto fare al riguardo. La preoccupazione di creare qualche difficoltà agli uffici anagrafici – risolvibile peraltro facilmente in via provvisoria con qualche circolare mirata – non può più tramutarsi in una lesione dei diritti costituzionalmente garantiti e nell’offesa alla dignità delle donne. Ringraziando per l’attenzione accordata, porgo i miei deferenti e speranzosi saluti. Iole
Natoli 15.02.2021 © Iole
Natoli Pervenute dopo l'invio della mail le seguenti adesioni: Gianpaola Gargiulo, Federica Bassi, Emmanuele Tosi, Erica Villa, Andrea Giudice, Frida Bertolini. |
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Il cognome patrilineare, in Italia come in ogni Paese in cui vige, è il burqa culturale delle donne (©Iole Natoli).
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