mercoledì 21 dicembre 2022

Lettera aperta alla Senatrice Giulia Bongiorno Presidente della Commissione Giustizia

RICHIESTA di audizione in Commissione

La soppressione del cognome materno radice prima della violenza di genere

di Iole Natoli

 

Link per la Petizione

Gent.ma Senatrice Giulia Bongiorno,

quando ho appreso della sua nomina a Presidente della Commissione Giustizia mi sono sentita sollevata, perché il tema della Petizione che meditavo di inviare ai due rami del Parlamento - e che adesso è già stata annunciata in Senato col n. 189 e assegnata alla 2ª Commissione - riguardava e riguarda le donne.

Non solo le donne, in verità. Vede, Senatrice, fin da quando ho cominciato a lavorare sul Cognome materno ai figli sono stata profondamente convinta che la soppressione della visibilità femminile dal cognome della prole (che è generata in primo luogo dalla donna) non fosse una questione che riguardasse la singola coppia genitoriale. Ho pensato che rispondesse invece a uno schema generale preciso, attraverso cui la società patriarcale veicolava un messaggio di sopprimibilità della donna nel nostro sistema culturale e anche giuridico.

Ho iniziato a occuparmi pubblicamente del cognome della madre nel cognome dei figli nel giugno del 1979, con il mio primo scritto sull’argomento che precede temporalmente la proposta parlamentare per un cognome unico maschile o femminile dell’on. Magnani Noya, prima proposta legislativa sul tema nella nostra Repubblica, presentata il 30 ottobre di quell’anno.
Oltre ad analizzare le componenti occulte di questa “trama della cultura”, della cui esistenza ero e sono ancora oggi convinta, nel mio scritto delineavo alcuni possibili articoli per realizzare un progetto di doppio cognome, inclusa la semplificazione da 4 a 2 (1 cognome per genitore) per le generazioni successive.

Non mi sarei mai sognata di prevedere esclusivamente un cognome unico a scelta, perché questo non avrebbe centrato l’obiettivo di DEMOLIRE lo schema che sin dalla loro nascita ha indotto gli uomini a considerare sopprimibili le donne e ha obbligato le donne a sentirsi rappresentate esclusivamente da una figura maschile, la sola che avesse il potere di renderle accettate e dunque riconoscibili nella società come persone dotate di diritti.

Se mi era perfettamente chiaro lo schema di sopraffazione legalizzata delle donne posto in atto dal sistema sociale, non mi era altrettanto evidente che questo potesse agire anche sulla mente dei giudici. Così, con somma ingenuità - provenivo da studi psicosociali e antropologici e non da una formazione giuridica - avviavo nel 1980 la prima causa civile italiana contro lo Stato per l’attribuzione (tardiva) anche del mio cognome alle mie due figlie, convinta di spianare la strada al mio progetto sul doppio cognome, che avevo già cominciato a inviare a partiti e parlamentari di ambo i sessi.

La sentenza del Tribunale di Palermo arrestava l’itinerario che mi ero prefissata e alcuni commenti apparsi sulla stampa, tra cui quello del giurista Giovani Conso, mi rendevano evidente come ci fosse molto lavoro da fare, prima che una riforma di tal genere potesse essere considerata ipotizzabile.
Non mi soffermo sull’attività che per me ne seguì, perché il punto da analizzare ora è un altro.

Cosa trasmetteva all’epoca in cui io iniziavo il mio percorso, ovvero nel 1979, quella particolare soppressione oggi dichiarata interamente illegittima dalla Corte Costituzionale? Diverse suggestioni più o meno manifeste. Eccone alcune.
1 – La donna vale meno dell’uomo e il punto da individuare per lei nella scala di attribuzione dei valori è affidato al capriccio maschile.
2 – La generatività femminile è subordinata alla “validazione” maschile. La presenza del cognome paterno “certifica” la legittimità della sua generazione, l’assenza espone al ludibrio sia la donna sia il figlio, in quanto solo l’uomo ha IL DIRITTO di mettere al mondo, sia pure per interposta persona. Se la donna lo fa, senza la sua “benedizione” è una reietta e tale rende anche suo figlio.
3 – Se il padre è l’unico rappresentante dei figli, tanto che di cognome questi portano solo il suo, allora è al padre – ovvero all’uomo – che occorre assicurare la possibilità di lavoro e occorre farlo nelle migliori condizioni per lui (e per chi glielo fornisce).
4 – Se l’uomo deve lavorare e deve farlo in condizioni ottimali, allora non deve avere preoccupazioni familiari di accudimento. Non basta il vantaggio che presenta per non essere soggetto a gravidanze e parti, al sistema produttivo il lavoratore deve assicurare di più. La donna da lui presa in moglie se ne stia a casa per accudire sia i figli sia lui. In tal modo il sistema produttivo su cui si basa l’assetto sociale rafforza nell’uomo la sua percezione di preminenza indiscussa sull’altro sesso, che condiziona l’ambito familiare.
5 – Se la subordinazione della donna così stabilita viene meno perché costei prova a sottrarsi al ruolo confezionatole dal sistema e affidato al controllo degli uomini in funzione di sentinelle attive, allora la stessa va punita in tutti i modi “leciti” possibili. In realtà anche con quelli illeciti.

Non sono poche le scusanti, infatti, con cui il sistema socio-giuridico si è adoprato per aggirare o ridurre al minimo il peso di violenze e di delitti che nei tempi andati non venivano ancora classificati come femminicidi. L’uomo (marito / fidanzato / innamorato) che infliggeva violenze varie o uccideva la donna:
– difendeva il suo onore;
– era stato provocato;
– era in preda a un raptus;
– l’amava quasi più della sua vita (molto quasi);
– lei lo aveva illuso e poi respinto. Come non compatirlo,
povero figliuolo? Altre formule semi-assolutorie potremmo elencare e alcune le ritroviamo ancora oggi, se non nel diritto quanto meno nel sentire comune che si riversa spesso sulla stampa.

Il punto era allora e ancora oggi è: se la donna è sopprimibile simbolicamente e concettualmente, allora può diventarlo anche nella realtà. È un pensiero inconscio ma consideriamo QUANDO viene (ancora troppo presto per poter dire “veniva”) instillato nei soggetti umani. Accade a partire dalla nascita, ovvero in un momento in cui nessuno schema logico cosciente, tale da svelare e contrastare quel messaggio subliminale, si è ancora formato nei bambini. A questo input se ne aggiungono altri di cui la nostra società maschilista purtroppo è intrisa e che difficilmente è possibile contenere. Ne deriva una combinazione micidiale.

La sentenza 131/2022 della Corte costituzionale ha sancito l’ILLEGITTIMITÀ ab origine della patrilinearità del cognome e reso obbligatoria l’attribuzione ai figli del cognome di entrambi i genitori, a meno che gli stessi non abbiano concordemente optato per quello di uno solo di essi.
Si potrebbe pensare che la questione sia stata risolta, ma se lo è sul piano giuridico non lo è su quello sociale. Non è un caso se la stampa continuamente ci informa (il più delle volte gongolando) di un flop del doppio cognome, che viene scelto per i nuovi nati con percentuali bassissime.
Certamente è una novità. Certamente le nuove disposizioni pratiche derivate dalla sentenza non sono conosciute abbastanza ma la ragione di fondo non è questa. Il punto è che le suggestioni precedenti continuano ad agire indisturbate nelle stesse donne, che non solo non riconoscono come discriminante l’esclusione del loro cognome da quello dei figli ma – ed è più grave – non hanno compreso il valore radicalmente educativo che quella presenza tangibile comporta.

Nel tempo, Senatrice, ho inviato in Parlamento diverse petizioni. La prima, del 2013, prevedeva solo il doppio cognome obbligatorio. Ne ho modificato l’impianto nel 2014 dopo la sentenza di Strasburgo, che sanciva il diritto dei genitori di voler attribuire ai figli solamente il cognome materno (quello dunque di un solo genitore). Ne ho presentato una più approfondita nel 2018.
La più recente è successiva alla sentenza 131/2022 e ne ricalca le modalità linguistiche assolutamente neutre, oltre a prevedere alcune possibili norme per restituire ai figli quei diritti personali che loro competono e che la residuale concezione dell’uomo quale pater familias continua almeno in parte a disconoscere.

Si potrebbe pensare che quest’ultima mia petizione non fosse in realtà necessaria, perché c’era da aspettarsi che le nuove proposte legislative presentate a Camera e Senato sarebbero state adeguate in modo congruo alla sentenza della Consulta citata. Da quel che mi è possibile constatare però - limitatamente alle proposte già assegnate e di cui dunque il testo è agevolmente consultabile sul sito parlamentare -, i Ddl apparsi in questa legislatura ricalcano le stesse orme di quelli della legislatura precedente, senza che le indicazioni della Corte Costituzionale siano state assimilate al punto da eliminare ogni pericolosa traccia di omaggio alla tradizione patriarcale, in primo luogo nel linguaggio adottato. E il linguaggio non è solo forma; è una forma che si rende sostanza.

Un linguaggio normativo che relega all’ultimo posto tra le scelte l’assunzione del cognome materno sta confermando lo schema precedente pur nella novità del ventaglio di possibilità considerate. Un linguaggio che lungi dall’utilizzare le formule asettiche della sentenza 131/2022 «dà precedenza enunciativa, contraria perfino all’ordine alfabetico, al cognome del padre rispetto a quello della madre o di entrambi» sta operando un «raccordo ideologico con la tradizione precedente il cui fondamento è stato dichiarato DEFINITIVAMENTE illegittimo» dalla Corte. Un linguaggio che “salva la priorità” della discendenza dal padre rispetto alla discendenza dalla madre  tradisce la funzione profonda della riforma necessaria, che è quella di eliminare ogni rapporto di forza che neghi la realtà della natura.

La realtà, Senatrice, è che i figli sono generati in misura maggiore dalla donna e non dall’uomo. Se si accetta di considerare una parità nella relazione tra i genitori e i figli è perché dopo la nascita che consegue a una gravidanza e a un parto (che sono esclusivamente femminili e spostano verso la madre l’entità del contributo alla generazione dei figli) i genitori si assumono pari responsabilità rispetto ai figli e non perché sia lecito considerare innanzitutto figli-dei-padri i figli messi al mondo dalla donna.
Non si continua a strizzare l’occhio al passato nel linguaggio senza determinare conseguenze. Se non romperemo il circuito malefico che fa sentire ancora oggi l’uomo il detentore dello scettro in famiglia, non avremo eliminato il fattore primario della violenza di genere.

E allora, Senatrice Bongiorno, La prego di voler considerare la possibilità che io sia convocata in occasione di una delle audizioni che sicuramente saranno da Lei disposte al fine di pervenire con tutti gli strumenti necessari a un testo unificato. Glielo chiedo perché nella mia Petizione che è stata annunciata di recente in Senato col n. 189 ho precisato in una lunga premessa le ragioni che hanno determinato la formulazione dei singoli articoli, ma non ho potuto – per evitare un eccesso di lunghezza che avrebbe forse scoraggiato un’attenta lettura del testo – includere quelle stesse considerazioni analitiche di natura prettamente sociale che ho invece esposto a Lei nella prima parte di questa Lettera.

Riporto un brano di un mio breve saggio del 1988: « Non è da escludere che quel tipo d’aggressività maschile delinquenziale, giunta a concretizzarsi di frequente in episodi di violenza sessuale individuale o di gruppo, non abbia, tra i fattori che sono alla sua origine, anche l’estraneità della donna ai processi di formazione dell’identità maschile».

Oggi sono ancor più convinta di questo nesso malefico, che solo una riforma che non resti astrattamente sulla carta ma penetri massivamente nelle coscienze potrà seriamente contribuire a rimuovere. Concludevo quel brano scrivendo: «Può darsi, indubbiamente, che tale intuizione sia infondata; ma se non lo fosse, sarebbe follia non cercare di rimuovere un fattore, che di formale avrebbe, in tal caso, ben poco».

Proprio così, Senatrice Bongiorno. Lei, che di violenza contro le donne si è occupata attivamente e con convinzione, mi ascolti. Sarebbe follia non provarci.

21 Dicembre 2022

 

© Iole Natoli

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