Una consuetudine che offusca la mente e altre negative amenità |
|||
|
|||
Rispettabili Senatrici e Senatori, che ordine alfabetico sia! Ci salverà dalle atroci incertezze sulla sequenza da
attribuire, alla nascita di una pupa o di un pupo, a ben 500 cognomi. No, a
300. A 300? In verità solo a 2, ma che
forse vi sembrano pochi? Sconsigliabile appare in tal senso il ricorso alla
spoliazione progressiva della margherita, nota per risolvere il dilemma del
m'ama o non m'ama di cuori a rischio d’amoroso infarto. Sembra che in un
rispettoso sussurro sia stato suggerito - dall’autrice di più d’una petizione
(tale I. Natoli) e da una senatrice proponente (tale A. Maiorino) - di
copiare il sistema lussemburghese, cioè il sorteggio. L'ordine alfabetico, l'ordine
alfabetico, l'ordine alfabetico! ripetono però come in un mantra in Commissione Giustizia
del Senato le intervenute sulle proposte di legge, nonché il professore di
diritto privato comparato, Nicola Brutti, interpellato nell'audizione del 15 febbraio.
Di tal parere sono le firmatarie dei DdL tranne una. Come su anticipato,
Alessandra Maiorino vede la cosa diversamente e, intervenendo nell’audizione
citata, fa notare come l'ordine alfabetico non abbia proprio nulla di equo,
perché designa a priori un vincitore o una vincitrice e un o una perdente.
Arlacchi vincerebbe automaticamente su Morlacchi e figuriamoci poi su
Pennacchi! Indubbiamente si prescinde dal sesso, manca una discriminazione di
tal tipo, ma c'è sempre chi ha il coltello dalla parte del manico per dire NO
alla richiesta dell'altro, o dell'altra che sia. Insomma, si crea di fatto un
vulnus al paritario dialogo di coppia. Vulnus che col sorteggio non ci
sarebbe. A tal proposito occorre rilevare come una clausola prevista dalla senatrice Maiorino nel suo DdL, ovvero quella di affidare al giudice l’estrazione a sorte per risolvere i casi di dissidio tra i due genitori sull’ordine dei cognomi, appare non molto appropriata. Un giudice è tale perché decide, non perché quale che sia il suo convincimento tacita se stesso con un qualche sorteggio. Peraltro, non sarebbe possibile per il giudice ascoltare il figlio appena nato – tale prassi potrebbe servire per intervenire sulle situazioni pregresse, ovvero per i nati prima della sentenza della Corte, come è stato richiesto anche in un’altra petizione –, né ha senso impegnare un magistrato per dirimere un semplice disaccordo sull’ordine, visto che, malgrado il dissenso sulla precedenza da assegnare, i cognomi dei due genitori ci sarebbero in ogni caso, cosicché la sequenza da privilegiare nulla toglie al collegamento del figlio con entrambe le figure genitoriali, a cui deve nella fase iniziale della vita - e non solo in quella - la costruzione della propria identità. In merito alla formazione dell’identità, occorre porre in
luce qualcos’altro. In due dei quattro
DdL presenti in Senato - Unterberger (A.S. 2) e Cucchi (A.S. 918) - si
legge che i genitori coniugati, all'atto della dichiarazione di nascita del
figlio, possono attribuire al figlio, secondo la loro volontà, il cognome del
padre o quello della madre o quelli di entrambi nell'ordine concordato. Malpezzi (A.S. 21) e Maiorino (A.S. 131)
fanno una scelta diversa, premettendo l’attribuzione del cognome di entrambi
i genitori alla possibilità di attribuire quello di uno solo di essi. In due dei quattro DdL presenti in Senato (Unterberger e Cucchi), l’interesse del figlio non è il motore che muove le formulazioni utilizzate. Indicare il cognome di entrambi quale ultima chance indurrebbe i destinatari della legge a pensare che tale soluzione sia priva di un valore proprio e costituisca esclusivamente la conseguenza di un mancato accordo dei genitori sul solo cognome di uno dei due. Non è questo che ha avuto cura di argomentare la Corte. Da qui la necessità di definire nel testo unificato il cognome di entrambi i genitori come regola di base della legge in fieri, esattamente come regola di base è nella sentenza 131/2022 di cui, alterando l’ordine delle possibilità, si finirebbe col tradire i valori. Nel corso dell’audizione, da parte del professor Brutti e
di altre e altri si è avanzata più volte l’ipotesi di introdurre un apriori,
dunque un limite, alla libera scelta dei genitori. Si tratta dell’idea di
stabilire che ciascun genitore possa per legge “trasmettere” soltanto il primo
dei propri cognomi e non eventualmente il secondo, ove ne abbia più di uno.
Questa intromissione nella libertà individuale, che invece è stata
attentamente tutelata dalla Corte costituzionale nella 131/2022, rappresenta
di fatto una lesione di quel
principio emerso anche dalla sentenza CEDU 7/2014 (Ricorso n.77/07), che esclude
che lo Stato possa limitare, se non in pochi casi specifici, il diritto dei
singoli di imprimere alla propria famiglia l’indirizzo che ritengono più
congruo anche in merito al cognome dei figli. Di più: introdurre una simile clausola porterebbe a una maggiore litigiosità dei genitori in merito all’ordine dei cognomi. Se i figli potranno “trasmettere” sempre e solo il loro primo cognome, allora padre e madre all’atto della nascita del figlio litigheranno sino allo sfinimento per avere il primo posto nella sequenza determinata dai cognomi di entrambi. C’è ancora un punto sul quale richiamare l’attenzione, quello d’una patriarcalità residua del linguaggio. Abbiamo visto come Malpezzi e Maiorino antepongano correttamente la scelta del cognome di entrambi i genitori a quella del solo cognome d’uno dei due. Ma quali sono esattamente le formule usate da queste parlamentari e dalle altre? Che si anteponga o meno il cognome di entrambi i genitori, al momento di indicare l’attribuzione del cognome singolo in TUTT’E QUATTRO LE PROPOSTE si cita prima il cognome del Padre e solo dopo, quale fanalino di coda, il cognome della Madre. È legittimo domandarsi perché accada. E infatti non soltanto la Madre è il soggetto giuridico che il figlio lo mette materialmente al mondo mentre il Padre tutto questo lavoro non lo fa, ma l’osannato ordine alfabetico (a cui solo Maiorino si sottrae) indicherebbe una precedenza della parola Madre rispetto alla parola Padre. Nel Sacro Ordine del Sovranismo Alfabetico, la M viene prima della P, sarebbe il caso di considerare. Si tratta dunque di un evidente residuo d’una patriarcalità sempre latente. Concludendo, ciò che manca in tutto o in parte
nell’insieme delle proposte di legge in Senato è la consapevolezza che la
sentenza della Corte non costituisce il risultato di un mutamento del costume
sociale – idea di fondo errata, rintracciabile nelle diverse proposte di
legge, comprese quelle esistenti alla Camera – ma il riconoscimento e la conseguente rimozione di UN
ABUSO GIURIDICO perpetrato dal giorno della promulgazione della Costituzione
italiana sino a quello della pubblicazione in Gazzetta della sentenza
131/2022, anzi sino al giorno dell’entrata in vigore della decisione della
Corte. Proprio l’analisi delle conseguenze sociali nefaste di
alcuni articoli delle diverse proposte ci porta a chiedere alla Commissione
Giustizia del Senato – e se necessario ai due rami del Parlamento – anche di
NON includere nella legge in fieri
una norma che preveda la possibilità del cognome comune dei coniugi
(come da
A.S. 2 e A.S. 131), saggiamente assente dalle proposte Malpezzi e
Cucchi. Modificare le identità originarie per affibbiare identità
acquisite non è
solamente poco pratico, data l’esistenza di divorzi con l’eventualità
di
nuovi matrimoni; è un modo per perpetuare lo status quo, perché, a causa
della consuetudine che ottenebra così tanti cervelli e delle note pressioni
maschili, le donne coniugate finirebbero con l’accettare di aggiungere al
proprio il cognome del marito e di pensarsi collegate ai figli tramite
quello stesso unico cognome che verrebbe a costoro assegnato. Non cambierebbe
nulla a livello di massa, ma solo per poche persone dalla consapevolezza più
matura. |
|||
7 Marzo 2024 |
______________________________ |
Il cognome patrilineare, in Italia come in ogni Paese in cui vige, è il burqa culturale delle donne (©Iole Natoli).
▼
Nessun commento:
Posta un commento