Altro che forcipe, per questo travaglio di parto! |
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di Iole Natoli
Non son bastate fin qui ben 10 legislature (dall’VIII alla XVII, con esclusione di quella in corso), perché una qualsiasi legge sul cognome materno venisse approvata. |
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Dobbiamo fare il conto delle Proposte Legislative? Basta spulciare il sito del Parlamento, una Legislatura dopo l’altra, per trovarne un buon numero. Delle Petizioni? Anche qui ce ne sono diverse, con intere proposte di Iole Natoli (la più recente è del 2018), con richieste di emendamenti ancora di Natoli e con solleciti per un’approvazione. Tra queste ultime spicca quella di Laura Cima, sia per le oceaniche adesioni di pubblico, sia perché si tratta di un’ex parlamentare che in due delle Legislature precedenti aveva presentato una sua Proposta di Legge, “ovviamente” nemmeno discussa. Ma c’è dell’altro. Ci sono scritti che datano dal 1979, lettere aperte a Parlamentari e Ministre, Conferenze, Incontri virtuali e reali, Convegni organizzati da differenti Reti e Associazioni. Dal 1979-80 in effetti qualcosa è cambiato. La stampa - che si era accesa solo in occasione di cause eclatanti (la prima fu proprio di Natoli) e di sentenze storiche, quella della Corte CEDU del 2014 (caso Cusan e Fazzo) e quella della Consulta del 2016 - la stampa, si diceva, e i vari media si sono FINALMENTE scatenati. Del cognome materno si legge adesso dovunque. Rendiamo atto dello sforzo compiuto a tutte e tutti coloro che si sono spesi nel tempo, in un modo o nell’altro, anche con gruppi social sul tema, e in particolare oggi alla Ministra Elena Bonetti, mossa dal chiaro intento di “portare a casa” un risultato entro questa Legislatura. Quel che si porterà a casa, però, non è dato sapere per intero. Ci vorrà un testo unificato varato da una delle due Commissioni Giustizia (Camera e Senato), per scoprire cosa delle varie proposte sarà stato accolto e cosa, invece, sarà rimasto fuori della porta. Proprio perché ancora questo testo unificato non c’è, ci sembra utile prima di riferirci a un articolo specifico del fac-simile di una Proposta di Legge contenuta nella Petizione Natoli del 2018, ovvero l’art. 5, soffermarci sulla nostra Costituzione. La Costituzione italiana non è un manuale di precettistica. Non è il Bignami delle leggi italiane. La Carta costituzionale offre ed espone una concezione organica, declinata attraverso i suoi articoli ed è stato ricordato anche di recente dal Presidente della Corte Costituzionale, Giancarlo Coraggio, che nessun articolo di essa può avere preminenza sugli altri. E allora ci soffermiamo non solo sugli artt. 3 e 29, ma anche sugli artt. 10 e 80. Tra i trattati e le Convenzioni internazionali che l’Italia ha sottoscritto esiste anche la CEDU, ovvero la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che più propriamente e democraticamente è definita in altri Stati “dei Diritti umani”. L’organo di tutela di tale Convenzione è la Corte CEDU, Tribunale che ha sede a Strasburgo, quello stesso che ha segnato con la sentenza n. 7 del 2014 lo spartiacque in terra italiana nella questione del Cognome. Da allora esiste infatti un prima e un dopo, quanto meno nelle argomentazioni giuridiche. Anche la sentenza della Consulta del 2016 deriva sostanzialmente da lì. Non sarà dunque inappropriato esaminare alcune considerazioni in merito al principio di NON discriminazione nell'interpretazione della CEDU, di Carmelo Danisi, oggi Professore a contratto del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Bologna. Da un suo scritto pubblicato su forumcostituzionale.it, stralcio quanto segue: «Per quanto riguarda la disposizione della CEDU, centrale è l’affermazione secondo cui il contenuto dell’articolo 14 CEDU non ha carattere sostanziale: esso si applica unicamente in combinato agli altri diritti sanciti nella Convenzione. Ciò è stato ripetuto innumerevoli volte dalla Corte di Strasburgo nelle sue sentenze». Ancora: «Non discriminazione e CEDU: l’art. 14 e i suoi limiti. Il principio di non discriminazione è diffusamente riconosciuto come manifestazione del più generale principio di eguaglianza. Sulla base di quest’ultimo, situazioni simili devono essere trattate in modo uguale mentre situazioni diverse in modo differente. In caso contrario, e in assenza di ragionevoli giustificazioni, il trattamento deve considerarsi discriminatorio. Tali principi rappresentano elementi fondamentali della normativa internazionale relativa ai diritti umani». Ora, se "situazioni simili devono essere trattate in modo uguale mentre situazioni diverse in modo differente", allora appare vero anche l'inverso e TUTTE LE PROPOSTE che pretendano di ignorare la diversità tra la donna e l'uomo, in rapporto alla generazione dei figli su cui si fonda il concetto stesso di genitorialità, SONO nei fatti DISCRIMINATORIE nei confronti delle donne. in quanto non rispettano, né considerano minimamente, l’assoluta diversità della situazione femminile e del figlio/a in rapporto a questa. Torniamo
adesso all’art. 5 della Petizione Natoli già citata. Solo chi fosse affetto da cecità conclamata potrebbe sostenere che tale articolo celi o comunque contenga una qualche forma di discriminazione. Non prevede infatti una obbligatorietà della priorità da assegnare al cognome materno. Al contrario, presenta un perfetto bilanciamento dei diritti, garantito sia dalla possibilità della modifica concordata dai partner, sia dall'intervento improntato all'uguaglianza bipartisan da parte dell'Ufficiale di Stato civile in caso di disaccordo dei genitori. Esiste dunque una PARITÀ ASSOLUTA, pur nel riconoscimento della specifica relazione madre-figlio al momento della nascita e in tutta la prima fase successiva. Ma se non c’è l’obbligo a che serve la formula? Tanto vale scavalcare la diversità e amen, qualcuno potrebbe pensare. E invece no, non è per niente così. In questo caso non si può partire dal diritto esercitato dall’uomo per allargarlo alle donne, perché in questo caso c’è qualcosa di molto diverso da ciò che ha caratterizzato la discriminazione ai danni del genere femminile sul lavoro, sull’equa retribuzione, sull’accesso alle carriere e su altro. Mentre negli esempi elencati ci siamo trovati storicamente SOLO dinanzi a un’esclusione della donna da compiti e ruoli che venivano pertanto esercitati unicamente dagli uomini, nel caso del cognome dei figli ci troviamo NON davanti a un’esclusione delle donne ma a un utlizzo delle stesse accompagnato da una SOTTRAZIONE, dato che l’identità dei figli - che è stata poi definita attraverso il cognome - era originariamente e altrettanto ovviamente legata al clan matriarcale e dunque alle donne, in quanto uniche ospitanti dello zigote (ovulo fecondato), uniche collaboratrici al suo sviluppo tramite la gravidanza, uniche “attrici” della messa al mondo del figlio. In sostanza, non è stato proibito alle donne di figliare, come di lavorare o di accedere a carriere di prestigio, ma di far riconoscere il legame diretto, che non ha un uguale corrispettivo nella parte maschile, tra il figlio generato e la madre. È stato e continua ad essere un furto non soltanto nei confronti della madre ma anche nei confronti della figlia e del figlio, ai quali il concetto di parità – che in questo caso appare riduttivo - non rende adeguata giustizia. Non soltanto i numerosissimi femminicidi ma anche le frequenti uccisioni dei figli, quasi sempre per mano maschile, testimoniano di un cancro che fagocita le persone, in primo luogo le vittime ma anche gli autori di questi delitti, condizionati dall’aver introiettato il concetto di PROPRIETÀ della donna e dei figli. Il patriarcato ha voluto spezzare il naturale rapporto figli-madri, ha voluto farlo rimuovere dalla mente dei figli con la formula della patrilinearità. Ora, una legge che si limitasse a introdurre il cognome materno fin qui assente - o, se presente, subordinato al consenso paterno ovvero paradossalmente al consenso di chi NON ha messo al mondo il figlio - è insufficiente per agire nel profondo delle coscienze. Occorre qualcosa di più, occorre insegnare a RICORDARE, a NON RIMUOVERE, a conservare l’immagine di quel legame affinché gli uomini possano riconoscerlo e rispettarlo anche quando, con legame coniugale o meno, si uniranno a una donna per poter generare dei figli. I figli non sono proprietà. I figli hanno dei diritti e tra questi diritti hanno quello di poter crescere in una società sana, che non faccia della rimozione affettiva, giuridicamente programmata, la sua regola. ______________ |
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Aderiscono: Angela Bottari, Laura Cima, Eliana Rasera, Roberta Ravello,
Laura Moschini, Francesca Dragotto, Nadia Gambilongo, Ilaria Moroni, Daniela
Cassini, Edvige Ricci, Antonia Romano, Maria Francesca Lucanto. |
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______________ RIFERIMENTI 20 giugno 2021
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NOTA successiva. La Lettera è stata inviata ai destinatari per mail Martedì 23 novembre 2021. |
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22 novembre 2021 |
Il cognome patrilineare, in Italia come in ogni Paese in cui vige, è il burqa culturale delle donne (©Iole Natoli).
lunedì 22 novembre 2021
Il COGNOME MATERNO ALLA PROVA DEI FATTI - Lettera aperta alla Ministra Bonetti, alla Presidente del Senato, al Presidente della Camera e ai Presidenti delle due Commissioni Giustizia
martedì 9 novembre 2021
Nella XVIII Legislatura OTTO PROPOSTE sul COGNOME MATERNO
Il Cognome Materno a Figli e Figlie attende ancora un testo unificato |
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di Iole Natoli Ciò che difetta in tutte le proposte è il diritto personale del nuovo
nato, implicante il concetto di relazione che lo lega alla madre e solo a lei al tempo della nascita. Tale assenza deriva da un'impostazione che guarda ancora al mondo patriarcale. |
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Conseguentemente, nel fare del diritto femminile una mera fotocopia del già esistente diritto maschile, si propone una falsa
uguaglianza uomo-donna, ottenuta con l’occultamento forzoso e dunque autoritario della diversità. |
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ELENCO DELLE PROPOSTE
PARLAMENTARI della XVIII Legislatura |
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2018 |
23 marzo |
Camera |
Laura Boldrini |
PD (ex LeU) |
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2018 |
23 marzo |
Camera |
Renate Gebhard |
Südtiroler Volkspartei |
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2018 |
11 luglio |
Senato |
Julia Unterberger |
Südtiroler Volkspartei |
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2018 |
17 luglio |
Senato |
Laura Garavini |
Italia Viva (ex PD) |
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2018 |
12 ottobre |
Camera |
Fabiana Dadone |
M5s |
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2019 |
28 gennaio |
Senato |
Alessandra Maiorino |
M5s |
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2021 |
25 febbraio |
Senato |
Paola Binetti |
Forza Italia |
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2021 |
10 giugno |
Senato |
Simona Malpezzi |
PD |
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In sostanza, tre proposte alla
Camera e cinque al Senato. Né alla
Camera né al Senato ha avuto inizio in Commissione Giustizia la discussione, che
serve a pervenire a un testo unificato e precede la discussione in assemblea.
Si direbbe che alle due Presidenze
non faccia piacere iniziare.
ANALISI
DEI CONTENUTI SITUAZIONI PREGRESSE Preliminarmente, va chiarito che nessuna delle otto proposte parlamentari esistenti si occupa di regolamentare i casi in cui i figli siano stati registrati col solo cognome paterno, come da normativa precedente. Rimane per loro il ricorso al Prefetto per il cambio cognome, ma questo è subordinato all’accordo tra i genitori. Tale subordinazione genera una discriminazione palese che diviene particolarmente pesante in caso di separazione o divorzio. L’unità familiare rappresentata da un cognome comune è sempre garantita, anche dopo separazione o divorzio, qualora i figli vivano con il padre o, comunque, nelle occasioni in cui trascorrano il loro tempo con lui. Non lo è invece se vivono con la madre o, comunque, nelle occasioni in cui trascorrano il loro tempo con lei, dato che alla nascita non hanno ricevuto anche il suo cognome. Anche la disposizione finale prevista da Boldrini nella sua proposta - l’unica che si ponga il problema delle situazioni pregresse - non sottrae i figli che vivono con le madri separate o divorziate alla frequente negazione del consenso da parte di un genitore rancoroso. Una soluzione ai problemi che così si sono determinati e si determinano è contenuta invece nel testo di una Petizione (art. 6) che è stata assegnata alle Commissioni Giustizia di Camera e Senato, ma che fin qui non ha trovato posto in nessuna delle proposte parlamentari della presente Legislatura.
COGNOME DEI CONIUGI Solo le proposte di Gebhard, Garavini, Maiorino e Malpezzi (citate in ordine cronologico di presentazione) prevedono una sostituzione dell’attuale 143-bis (cognome maritale). Nello
specifico, le proposte di Gebhard, Garavini, Maiorino stabiliscono
esclusivamente che ciascun coniuge conserva il proprio cognome. La proposta Malpezzi, invece, introduce anche la
possibilità per ciascuno dei coniugi di aggiungere al proprio il cognome dell’altro
coniuge, indipendentemente dunque dal sesso.
COGNOME DEL FIGLIO/A e PARITÀ Tutt’e otto le proposte di prefiggono di garantire una parità tra i genitori – sposati o non sposati - nell’attribuzione del cognome ai figli, saltando però a piè pari la relazione particolare madre-figlio che esiste all’atto della nascita, ovvero proprio nel momento in cui si configura il diritto del nato di ricevere uno o due cognomi. Prevedono
dunque che i genitori decidano, di comune accordo, di attribuire uno solo o
entrambi i cognomi ai loro figli, nell’ordine da loro preferito. Una
strategia paritaria differente è stata formulata nella Petizione citata (art. 5).
Ciò sia per quella doverosa aderenza alla realtà che tutt’e otto le proposte
parlamentari scelgono di non considerare, sia perché esiste la necessità più
che mai urgente di insegnare il rispetto per la figura femminile sin dalla
nascita e ciò implica che la relazione primaria per prossimità
neonatale del figlio con la madre non venga artificiosamente
misconosciuta. Nel caso di un figlio riconosciuto da un solo
genitore, si riscontrano posizioni differenti una nelle
proposte parlamentari. Di saggio e condivisibile rispetto verso i figli e le madri sono quelle di Binetti e di Malpezzi.
IL DIRITTO DEL FIGLIO/A Ancora un
rilievo sull’ultimo punto trattato. Diversamente dalle altre, le proposte di Dadone
e Maiorino postulano esplicitamente, sia pure con articoli diversi, un diritto
di ciascun genitore di attribuire il proprio cognome ai figli. Esaminiamo allora come affrontano il diritto dei figli al cambiamento del proprio cognome le otto proposte di cui ci stiamo occupando.
POSSIBILITÀ DI MODIFICA DA PARTE DEL FIGLIO/A MAGGIORENNE DEL COGNOME O DEI COGNOMI RICEVUTI ALLA NASCITA Prevedono esclusivamente la possibilità di cambiare il cognome singolo ricevuto alla nascita con il doppio cognome (dunque con quello di entrambi i genitori) tramite aggiunta ma non anteposizione: Boldrini, Gebhart, Unterberger, Malpezzi. Garavini e Dadone non prevedono nulla al riguardo. Maiorino articola
solo per i figli nati fuori dal matrimonio la seguente possibilità: « Il
figlio che ha compiuto quattordici anni può chiedere che il cognome del
genitore che lo abbia riconosciuto per secondo, o per il quale si sia
concluso il procedimento di accertamento, sia aggiunto anteponendolo o
posponendolo a quello del genitore che lo ha riconosciuto per primo». In nessuna
proposta è contemplato il diritto del figlio/a di eliminare uno dei cognomi
ricevuti, se titolare di doppio cognome. In tutte
le proposte parlamentari esaminate, dunque, il diritto di autodeterminazione
dei figli appare, in misura maggiore o minore, scarsamente rappresentato e
demandato alla concessione prefettizia vigente.
CONCLUSIONE Certamente
una proposta contenuta in una petizione non può avere un iter autonomo, in
quanto non è stato seguito il percorso specifico che solo le avrebbe
consentito di essere affiancata alle altre proposte in condizione di piena
parità. |
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Aggiornamento del 10 novembre
2021
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