Il 7 maggio
nell’Ufficio di Presidenza della Commissione Giustizia del Senato si è svolta
l’VIII audizione relativa alle quattro proposte di legge sul Cognome dei
figli [1].
A
proposito, ma le due Petizioni presentate – la mia [2] annunciata e allegata al fascicolo col n. 189 [3] e quella di Iole Granato [4] annunciata e allegata col n. 736 [5] – entrambe strettamente
attinenti al tema, sono mai state «discusse
congiuntamente ai disegni di legge»,
come prevede l’art. 141, comma 1
del Regolamento del Senato [6]? Da quel che è possibile percepire
dall’esterno si direbbe di no.
Come sempre, il
7 maggio oltre ai membri della Commissione erano presenti anche i capigruppo,
nonché per la prima parte dell’audizione la relatrice Anna Rossomando. È
stata una seduta interessante per la puntualità dei riscontri offerti dall’audita, l’avvocata Antonella Anselmo, esperta dei
diritti civili delle donne, ma altresì per le reazioni dell’uditorio, che non
sarà superfluo analizzare.
L’avvocata si è
soffermata particolarmente sulle difficoltà che incontra la Commissione nel
risolvere l’eventuale discordia tra i coniugi sulla sequenza dei due cognomi
da attribuire al figlio, enumerando una serie di presupposti giuridici, oltre
che naturali, che consiglierebbero di eliminare tale falso problema riconoscendo
la priorità del materno quale sequenza di default
nel doppio cognome.
Già nel corso
della V audizione [7 ] la
professoressa Amalia Diurni, ordinaria di diritto privato
comparato presso l’Università di Tor Vergata, aveva fatto notare come in
diversi Stati, non solo europei, risulti in vigore il matronimico [8]. Se ne era dunque discusso in precedenza,
ma sentirlo riproporre dall’avvocata Anselmo non sulla base di quel che fanno
gli altri Stati ma in rapporto ad alcune norme amministrative tutte
italiane già esistenti ha creato qualche subbuglio interiore in
diversi soggetti politici presenti, anche perché l’avvocata ha rimarcato senza
mezzi termini l’esistenza di «una certa titubanza della politica a eliminare
formalmente, in maniera esplicita, quell’invisibilità della relazione
madre-figli che è stata platealmente accertata dalla Consulta».
Ciò ha
suscitato una quasi protesta - sicuramente
sincera, ma non molto fondata - da parte della senatrice Simona Malpezzi, autrice come lei stessa ricorda di una delle
proposte [9], che pur ponendo lodevolmente come la collega Maiorino quale
prima possibilità il doppio cognome, ha relegato però il solo cognome materno
all’ultimo gradino della sua personale classifica delle tre opzioni
possibili.
Certamente c’è di peggio su questo punto rispetto alla formula usata
dalla senatrice Malpezzi ed è quell’«o», «o», «o» delle
possibilità di attribuzione, che col primo «o» stende un
tappeto rosso al cognome del padre - in
prima posizione, quale omaggio illegittimo, si spera inconscio, alla
tradizione patrilineare bocciata dalla Corte - col successivo «o»
apre la porta di servizio al cognome della madre – ovviamente al secondo posto, visto che il
figlio lo partorisce il padre e non lei, che lo riceve graziosamente da lui a
cose fatte - e con l’ultimo «o» consegna le chiavi
della cantina al cognome di entrambi, come accade nelle proposte presentate
da Julia Unterberger [10] e da Ilaria Cucchi [11].
Quel che è
comune a questi tre disegni di legge senatoriali - con esclusione dunque del solo DdL di Alessandra Maiorino [12], che affronta questo
aspetto in modo asettico - è la posposizione dell’opzione del solo cognome materno a quella del
solo paterno, senza che esista una
sola motivazione valida che possa giustificare tale scelta, inusuale
perfino rispetto a quell’ordine alfabetico che abita le menti di alcune
proponenti, nonché di intervenute e intervenuti. Non c’è infatti una qualche
spiegazione che si discosti dalla continuità
tremebonda proprio con quella tradizione che la sentenza 131/2022 della Consulta [13] ha
dichiarato ILLEGITTIMA ab origine
– che pertanto non è divenuta
inaccettabile oggi per un mutato costume sociale, ma perché era in aperto
contrasto coi principi fondanti della nostra Costituzione dal tempo della sua promulgazione –,
tradizione a cui dunque è escluso che si possa fare ancora
riferimento, sia pure in modo in tutto o in parte inconsapevole.
Si comprende così appieno la fondatezza della considerazione espressa
dall’avvocata Anselmo, che ha individuato
in una «titubanza della politica» - non limitata a questo o a quel gruppo
parlamentare ma presente trasversalmente proprio in tutti, come emergerà da
un rilievo successivo - il rischio concreto della permanenza d’una discriminazione di fatto a danno della
relazione madre-figli, contro la quale si è espressa la Consulta.
Si può
protestare quanto si vuole insistendo sulla propria intenzione di rendere
visibili le madri, ma all’intenzione sincera deve corrispondere una prassi
coerente e dunque in questo caso un progetto di legge che non remi in senso
ostinato e contrario a quanto verbalmente si proclama. E in senso contrario
non agirebbe solo la condannabile posposizione dell’opzione del cognome
materno ove trovasse accoglimento nel testo unificato in preparazione, ma
anche la strenua passione per le aggiunte del cognome dell’uno o dell’altro
coniuge, che finirebbe col determinare
la prosecuzione dello schema patrilineare contro cui si dichiara di voler
combattere. Le donne verrebbero infatti indotte dai mariti ad aggiungere
il loro cognome, come avviene con l’attuale
143-bis, attraverso il quale si creerebbe un legame indiretto coi
figli, che continuerebbero a ricevere il solo cognome del padre e a crescere con un’identità personale
dimezzata. In pratica, tutto andrebbe avanti come prima, come l’inoperosità
di molte riforme attivate in altri Paesi dimostra. Solo il DdL della
senatrice Ilaria Cucchi sfugge a questa trappola insidiosa; gli altri tre ci
cascano in pieno e il DdL Unterberger ancor più del Malpezzi e del Maiorino.
La senatrice
Malpezzi non è stata però la sola, nel corso dell’audizione in oggetto, a
mostrarsi alquanto sconcertata dall’esposizione dell’avvocata Anselmo. La
senatrice Giulia Bongiorno ha
dichiarato «non cerchiamo di avere troppo perché poi rischiamo di non
riuscire a ottenere la base», frase che renderebbe necessario chiarire di
quale “troppo” concretamente si
parli.
Il più turbato, nonché il primo a esplicitare un dissenso, è stato però il senatore Ivan
Scalfarotto, che ha chiesto all’audita se assegnare di default nel doppio cognome la priorità
al materno non finisca col «rallentare il percorso verso la parità dei
coniugi», aggiungendo che tale soluzione deriverebbe dal voler «compensare la
precedente supremazia, con una nuova», in quanto a suo dire si starebbe
«sostituendo un criterio di prevalenza nuovo rispetto a uno vecchio».
Ora, se in
risposta alle preoccupazioni espresse dalla senatrice Bongiorno - e anticipate con parole diverse dalla
senatrice Malpezzi - possiamo tranquillamente far notare che la
situazione di palese vocazione al rinvio verificatasi nella XVII legislatura
non appare ripetibile nella condizione attuale, grazie allo spartiacque
inaggirabile creato dalla sentenza 131/2022 della Corte costituzionale, che –
legge o non legge - ha già istituito il doppio cognome
subordinando la possibilità del cognome di uno solo dei genitori a una
decisione concordata e non alla volontà d’uno di essi, lascia veramente esterrefatte quanto asserito dal senatore
Scalfarotto.
Come
si fa a sostenere che una priorità del cognome materno nel doppio cognome, in cui sono dunque presenti i cognomi di
ENTRAMBI i genitori, corrisponderebbe a un rovesciamento della situazione precedente che di cognome ne
consentiva uno solo, quello del padre, TAGLIANDO FUORI uno degli elementi
della coppia genitoriale, rappresentato guarda caso da colei che la figlia o
il figlio l’aveva messo al mondo in proprio e non con una gestazione e un
parto condivisi con l’altro genitore? Come si fa ad alterare così vistosamente e
disinvoltamente la realtà?
Certo, se alla nascita
quale evento naturale, come l’abbiamo conosciuta sino a non molto tempo fa,
sostituiamo la visione della cosiddetta Gestazione per Altri, la questione
cambia aspetto. Se si trasforma artificiosamente l’unicità della funzione
materna in PRESTAZIONI ripartite tra persone distinte, a una delle
quali si assegna il carico della gravidanza e del parto ma che - pagata o non pagata - è destinata
comunque PER CONTRATTO a non
esercitare nessun ruolo genitoriale verso il nato/a, riconoscere e segnalare attraverso
il cognome una priorità del materno rappresenterebbe effettivamente un non
senso. E tuttavia occorrerà ricordarsi che qui stiamo trattando non della GpA
ma della nascita di un figlio o figlia dalla sua MADRE NATURALE, ovvero di
una situazione in cui una priorità da condensazione di ruoli senza
corrispettivi paritari di fatto esiste e non perché qualcuno se la sia
immaginata in qualche sogno ma perché la natura l’ha strutturata come tale.
Mi sembra utile a questo punto chiedere all’avvocata
Antonella Anselmo, l’audita di questa VIII seduta, qualche
delucidazione sui criteri che hanno ispirato il suo intervento e mi permetto
di darle del “tu”, perché ci è già capitato di incrociarci in più di una rete
femminile a mezzo Facebook, dove il “lei” non è mai di casa.
D: Al tempo della mia causa civile per
l’attribuzione anche del mio cognome alle mie figlie, ho appreso che il
cognome è diritto dei figli e non
dei genitori [14]. La sentenza della Consulta 131/2022 riconosce però a
questi ultimi il diritto di non essere
discriminati mediante l’assenza non concordata del cognome di uno di essi
da quello attribuito alla prole.
Ove manchi una diversa disposizione concorde da parte della coppia
genitoriale, assegnare in automatico la priorità del cognome materno nella
sequenza del “doppio cognome” può essere considerato a tuo avviso un
«criterio di prevalenza» delle madri sui padri, come affermato dal senatore
Scalfarotto nell’audizione a cui hai partecipato?
R: «Il timore
di discriminazione in danno del padre credo sia facilmente superabile. La
Consulta ha ribaltato la prospettiva adulto-centrica ponendo in primo piano
il “superiore interesse” del neonato o della neonata a vedersi
riconosciuta la pienezza dell’identità personale, per via matrilineare e
patrilineare. Il nome è parte essenziale dell’identità, diritto fondamentale
della persona, indisponibile e incomprimibile. Ebbene il primo legame
genitoriale che assume rilevanza giuridica al momento della nascita – momento
che, con l’acquisto della capacità giuridica, segna l’ingresso della persona
fisica nella società – è quello con la madre, riportato nell’attestazione
di avvenuta nascita (prima si chiamava certificato di avvenuto parto).
Questo documento, in cui si riportano le generalità della madre, è allegato
alla dichiarazione di nascita al momento dell’iscrizione nei Registri di
Stato di civile. Dal punto di vista cronologico è il primo
documento che attesta la filiazione per via matrilineare (salvo che la
partoriente non voglia essere nominata e riconosciuta madre). Posta questa
necessaria premessa la questione del doppio cognome dovrebbe essere formulata
come segue: quale cognome inserire per primo, per legge, senza discriminare
il secondo?
Sembrerebbe un
dilemma. Ma non lo è affatto, se ci si libera del retaggio patriarcale e si
guarda al fatto naturale».
D: Ribaltare un ribaltamento (quello posto in atto
dal patriarcato, che è giunto fino a noi) è riportare una questione
nell’alveo del vero. Non sarà il caso di approfondire il significato del
termine “discriminazione”?
R: «Dal punto
di vista della giurisprudenza costituzionale e amministrativa si parla di discriminazione
(o disparità di trattamento) soltanto in caso di assoluta identità di
situazioni di fatto. Viceversa si esclude la discriminazione quando una
diversità di trattamento da parte del legislatore ha una ragione plausibile,
non irragionevole né ingiusta a fronte di situazioni di fatto non identiche,
ancorché equivalenti o parificabili.
Un criterio
automatico fissato dal legislatore, sempre derogabile, che ponga quale primo
cognome quello della madre sarebbe ragionevole e non discriminatorio perché
pienamente aderente all’evento naturale del parto, fatto oggetto
della dichiarazione di nascita. Dunque sarebbe un criterio oggettivo
perché rispondente al fatto naturale. È innegabile che padre e madre
abbiano pari dignità giuridica e morale, ma il legislatore chiamato a dare
una regola astratta può ben anteporre il cognome materno per aderenza alla
fenomenologia del parto, e ciò senza violare l’eguaglianza tra i coniugi,
perché non è una scelta volta a sancire una subalternità del padre. Mi sembra innegabile che
il parto non sia un evento naturale riferibile al padre, dunque la filiazione
si manifesta in modo diverso a seconda del legame materno e paterno, senza
che questo incida sulla comune responsabilità genitoriale. Viceversa qualsiasi
altra opzione, discostandosi dal fatto, necessiterebbe di una “motivazione
rafforzata” e sinceramente non la trovo. Non esiste altra opzione oggettiva
rispettosa dell’interesse superiore del minore e dell’eguaglianza tra i
coniugi. Ad esempio anteporre il
cognome del padre, senza tener conto del fatto, ossia il parto,
potrebbe comportare una discriminazione indiretta, volta ad introdurre una
asimmetria tra i due genitori che disvela la sopravvivenza del retaggio
patriarcale».
D: Sicuramente. Resta però da stabilire se i
genitori non possano avere la facoltà di volere, di comune accordo,
modificare l’ordine naturale di default, per scelte puramente soggettive tra
cui potrebbe rientrare una semplice percezione di maggiore “musicalità” di
una sequenza rispetto a un'altra. In ogni caso, che si accetti quest’ipotesi
di variazione o la si bocci, trovo che creerebbe qualche contrasto la
proposta avanzata in altre audizioni di vincolare l’attribuzione dei cognomi
al primo avuto da ciascun genitore che ne abbia uno doppio, perché il primo
sarebbe sempre e soltanto un cognome materno, cosa in sé non eccepibile ma
che difficilmente verrebbe “digerita” senza levate di scudi. Quindi, lasciare
ai genitori il diritto di decidere quale dei due cognomi avuti alla nascita preferiscano
attribuire poi alla propria prole mi sembra, anche sotto questo profilo, la
soluzione più idonea.
Nella tua esposizione, Antonella
Anselmo, hai dato rilievo a un criterio strettamente cronologico presente nel
diritto amministrativo. Puoi spiegarci a quali atti amministrativi ti
riferisci?
R: «La
disparità di trattamento e la discriminazione indiretta, concetti ben
chiariti dal Codice delle Pari Opportunità e dal diritto europeo, si
manifestano laddove si cerchi di rendere ancora una volta invisibile o
irrilevante l’evento parto. Questo argomento è già di per sé dirimente.
Tuttavia per fornire ulteriore supporto all’opzione del cognome composto
“madre- padre”, e per rassicurare la Commissione Senato che non vi sarebbe
alcuna discriminazione in danno del padre, ho invocato anche il criterio
cronologico. Nel diritto amministrativo il criterio cronologico
tra aspiranti in posizione identica (che nel parto è difficile da sostenere) viene
proposto in alternativa al sorteggio o ad altri criteri di selezione casuale.
Si utilizza ad esempio nei Registri pubblici (ordine di ricevimento di atti,
es. notifiche, numeri di ruolo ecc.). In materia di appalti, ad esempio,
l’art. 50 comma 2 D.Lgs 36/2023 predilige l’ordine cronologico, rispetto ai
criteri causali, come criterio di
selezione degli operatori da invitare nelle procedure negoziate. Mi rendo
conto che gli esempi sono molto riduttivi rispetto all’importanza del cognome,
ma rendono bene l’idea dell’oggettività del criterio e dell’esigenza di non
estendere oltre misura i criteri causali.
Dal punto di vista cronologico l’attestazione del parto precede la
dichiarazione e deve essere allegata alla stessa».
D: Penso che ci sia da considerare anche un altro
aspetto. Secondo te, se il diritto al
cognome è del figlio/figlia e non dei genitori, considerato che al
momento della nascita il o la minore si trova in uno stato di relazione esclusiva con la madre, condizione che già
tempo addietro io ho definito di prossimità neonatale [15], può aver senso che il primo cognome di
riferimento non sia quello della madre ma del padre, e questo non per
eventuale scelta comune ma per ordine alfabetico o per l’effetto casuale di
un sorteggio?
R: «La nascita in sé è fatto che manifesta la
prossimità neonatale. È un dato innegabile, sembra assurdo doverlo chiarire.
Qualsiasi opzione giuridica che celi il fatto che si nasce dalla madre,
e dunque che la prima parte riconoscibile della filiazione è quella
matrilineare, introduce una distorsione cultural-giuridica, dunque è una
discriminazione indiretta. Invertire l’ordine cronologico in tema di
filiazione - l’attestazione di avvenuta nascita è già previsto dalla legge
italiana - potrebbe anche essere contrario al diritto europeo. Il principio
di parità di trattamento sancito negli articoli 20 e 21 della Carta dei
Diritti fondamentali dell’Unione Europea impone che situazioni analoghe non
siano trattate in maniera diversa e situazioni diverse non siano trattate
in maniera uguale, a meno che detto trattamento sia obiettivamente
giustificato. Inoltre l’art. 24 della medesima Carta prevede che l’interesse
superiore del minore deve essere considerato preminente. Il patriarcato, che postula dominio,
asimmetrie e subalternità su tutti i membri della famiglia, ha effetti
devastanti anche dal punto di vista dei figli. Credo che sia il legislatore,
nel definire la regola astratta, sia i genitori in caso di diversa e concorde
volontà (qualora non accolgano la regola del doppio cognome madre padre),
debbano valutare esclusivamente il superiore interesse del neonato e della
neonata e trovare una giustificazione obiettiva alla eventuale deroga, abbandonando
la visione adulto- centrica e proprietaria cancellata dalla Consulta. Impresa
veramente difficile».
Ringrazio per la sua disponibilità Antonella Anselmo e mi rafforzo
nella convinzione che lasciare la possibilità di opzioni al doppio cognome
tradirebbe massicciamente il reale interesse del minore, perché la tradizione
e le “pretese” patriarcali ancora vive ne determinerebbero un abuso a totale
discapito dell’interesse del figlio o della figlia. Se ne deduce che il
doppio cognome obbligatorio sia l’unica scelta coerente da adottare.
Ritorno adesso alla questione della sequenza madre-padre, che
destabilizza chi, consapevolmente o meno, resta saldamente ancorato al
patriarcato. Se la priorità di un cognome rispetto a un altro nel doppio
suona come un attentato all’uguaglianza dei genitori e magari anche alla pari
responsabilità genitoriale, cosa pensare delle opzioni per il solo cognome di
uno di essi, previste nei quattro DdL? Attribuire un solo cognome invece di
due sancirebbe l’inferiorità di uno dei genitori e lo esonererebbe o, peggio,
lo escluderebbe dalla responsabilità genitoriale?
Riflettere sulle contraddizioni esistenti nelle proposte esaminate e in
quelle che emergono da talune contrarietà da altri espresse mi sembra
strettamente necessario.
Si nasce immancabilmente da una donna. Si nasce, per natura, da una
madre. Vien
fatto di pensare che dietro talune obiezioni, manifeste o a malapena
represse, incomba l’ombra della GpA, la figlia d’ultima generazione del
patriarcato, che di moderno ha solo la modalità mediante cui si attualizza,
ovvero la tecnologia. L’ascendenza, invece, è antica: l’invisibilità delle madri realizzata mediante l’occultamento
della specificità della nascita.
Già in passato
avevo rilevato una continuità [11] tra l’assenza del cognome materno,
segno di quell’invisibilizzazione delle madri che ha
condizionato per lunghissimo tempo anche le menti femminili [12], e una certa
accettazione della GpA quanto meno da parte di alcune donne. Ed è curioso che
quella parte del mondo politico e culturale che pure vorrebbe contrastarla
chiuda poi gli occhi di fronte a certi nessi evidenti, preoccupandosi
paradossalmente di garantire una parità resa falsa dalla negazione del
vero.
Curioso ma non insolito, in questo come in altri campi. Quando non si
rimuovono le cause di un fenomeno negativo si può infatti puntare solo su
strumenti repressivo-punitivi allo scopo di contenere gli effetti; ma la
garanzia di un contrasto effettivo alla GpA non è data da disposizioni
legislative, che potrebbero mutare nel tempo qualora non si operasse sulle
cause, ma dal ripristino di quell’inscindibilità del rapporto figli-madre e
madre-figli, che passa attraverso la
visibilità giuridica dell’evento della nascita di ogni figlio o figlia dal corpo della madre, cioè da
quell’essere con cui la nascitura o il nascituro è in permanente contatto
fisico e psichico - dunque in una
continua relazione - fin dai primi
stadi del proprio sviluppo.
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Note e link di riferimento:
[1] Audizione
del 7 maggio 2024 - https://webtv.senato.it/webtv_comm?video_evento=245657
[2] Iole
Natoli, testo della Petizione sul cognome dei figli, n. 189 (Senato) -
https://www.change.org/p/nuove-norme-sul-nome-della-persona-e-sul-cognome-dei-coniugi-e-dei-figli-19a-legislatura
[3] Annuncio e
assegnazione alla Commissione Giustizia del Senato della Petizione n.
189 di cui alla nota precedente - https://www.senato.it/leg/19/BGT/Schede/docnonleg/45969.htm
[4] Iole
Granato, testo della Petizione sul cognome dei figli, n. 736 (Senato) - https://www.change.org/p/il-cognome-materno-alle-figlie-e-ai-figli-nati-prima-del-2-giugno-2022
[5] Annuncio e
assegnazione alla Commissione Giustizia del Senato della Petizione n.
736 di cui alla nota precedente
-https://www.senato.it/leg/19/BGT/Schede/docnonleg/48297.htm
[6] Regolmento
del Senato art. 141 -
https://www.senato.it/istituzione/il-regolamento-del-senato/capo-xvii/articolo-141-1
[7] Audizione
del 28 marzo 2024:
https://ilcognomematernoinitalia.blogspot.com/2024/04/cognome-dei-figli-di-ordini-di.html
[8] Amalia
Diurni, Integrazioni alla relazione preliminare, audizione 28 marzo 2024.pdf
[9] Simona
Malpezzi, S.21 - https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01361107.pdf
[10] Alessandra
Maiorino, S.131 -
https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01365931.pdf
[11] Julia
Unterberger, S.2 - https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01361136.pdf
[12] Ilaria
Cucchi, S.918 - https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01391964.pdf
[13] Corte
costituzionale, sentenza n. 131/2022: https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?param_ecli=ECLI:IT:COST:2022:131
[14] Prima Sentenza italiana sul Cognome
Materno, Trib. Civile di Palermo, Sez. I, sentenza 865 del 19.02.1982
https://cognomematernosentenze.blogspot.com/2015/02/acquisto-e-non-trasmissione-del-cognome.html
[15] Iole
Natoli, Principio di prossimità neonatale, in Nel Cognome della Madre e del Padre. Richiesta di Emendamento
necessario, https://ilcognomematernoinitalia.blogspot.com/2014/01/nel-cognome-della-madre-e-del-padre.html - Petizione annunciata alla Camera nel 2014 (XVII legislatura)
col n. 547: https://www.camera.it/leg17/468
[16] Iole
Natoli, Fare un figlio per altri, o
della soggezione patriarcale, 30.01.2016 -
https://ilcognomematernoinitalia.blogspot.com/2016/01/gpa-dellassenza-del-cognomematerno.html
[17] Iole
Natoli, Le trame sotterranee della
Storia, 28.01.2016 -
https://ilcognomematernoinitalia.blogspot.com/2016/01/dal-cognome-materno-ancora-quasi.html
Commenti alle
precedenti audizioni sono presenti ai link che seguono:
a - in rif.
all’audizione del 15 febbraio: https://ilcognomematernoinitalia.blogspot.com/2024/03/il-cognome-dei-coniugi-e-dei-figli-nei.html
b - in rif.
all’audizione del 22 febbraio:
https://ilcognomematernoinitalia.blogspot.com/2024/03/cognome-dei-coniugi-e-dei-figli_26.html
c - in rif.
all’audizione del 29 febbraio:
https://ilcognomematernoinitalia.blogspot.com/2024/03/cognome-dei-coniugi-e-dei-figli-in.html
d - in rif.
all’audizione del 21 marzo:
https://ilcognomematernoinitalia.blogspot.com/2024/03/unaudizione-dietro-laltra-muove-i-suoi.html
e - in rif.
all’audizione del 28 marzo:
https://ilcognomematernoinitalia.blogspot.com/2024/04/cognome-dei-figli-di-ordini-di.html
f - in rif.
all’audizione del 3 aprile:
https://ilcognomematernoinitalia.blogspot.com/2024/04/lettera-aperta-sul-cognome-dei-coniugi.html
g - in rif.
all’audizione del 18 aprile:
https://ilcognomematernoinitalia.blogspot.com/2024/04/vii-audizione-presso-la-presidenza.html
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