mercoledì 21 dicembre 2022

Lettera aperta alla Senatrice Giulia Bongiorno Presidente della Commissione Giustizia

RICHIESTA di audizione in Commissione

La soppressione del cognome materno radice prima della violenza di genere

di Iole Natoli

 

Link per la Petizione

Gent.ma Senatrice Giulia Bongiorno,

quando ho appreso della sua nomina a Presidente della Commissione Giustizia mi sono sentita sollevata, perché il tema della Petizione che meditavo di inviare ai due rami del Parlamento - e che adesso è già stata annunciata in Senato col n. 189 e assegnata alla 2ª Commissione - riguardava e riguarda le donne.

Non solo le donne, in verità. Vede, Senatrice, fin da quando ho cominciato a lavorare sul Cognome materno ai figli sono stata profondamente convinta che la soppressione della visibilità femminile dal cognome della prole (che è generata in primo luogo dalla donna) non fosse una questione che riguardasse la singola coppia genitoriale. Ho pensato che rispondesse invece a uno schema generale preciso, attraverso cui la società patriarcale veicolava un messaggio di sopprimibilità della donna nel nostro sistema culturale e anche giuridico.

Ho iniziato a occuparmi pubblicamente del cognome della madre nel cognome dei figli nel giugno del 1979, con il mio primo scritto sull’argomento che precede temporalmente la proposta parlamentare per un cognome unico maschile o femminile dell’on. Magnani Noya, prima proposta legislativa sul tema nella nostra Repubblica, presentata il 30 ottobre di quell’anno.
Oltre ad analizzare le componenti occulte di questa “trama della cultura”, della cui esistenza ero e sono ancora oggi convinta, nel mio scritto delineavo alcuni possibili articoli per realizzare un progetto di doppio cognome, inclusa la semplificazione da 4 a 2 (1 cognome per genitore) per le generazioni successive.

Non mi sarei mai sognata di prevedere esclusivamente un cognome unico a scelta, perché questo non avrebbe centrato l’obiettivo di DEMOLIRE lo schema che sin dalla loro nascita ha indotto gli uomini a considerare sopprimibili le donne e ha obbligato le donne a sentirsi rappresentate esclusivamente da una figura maschile, la sola che avesse il potere di renderle accettate e dunque riconoscibili nella società come persone dotate di diritti.

Se mi era perfettamente chiaro lo schema di sopraffazione legalizzata delle donne posto in atto dal sistema sociale, non mi era altrettanto evidente che questo potesse agire anche sulla mente dei giudici. Così, con somma ingenuità - provenivo da studi psicosociali e antropologici e non da una formazione giuridica - avviavo nel 1980 la prima causa civile italiana contro lo Stato per l’attribuzione (tardiva) anche del mio cognome alle mie due figlie, convinta di spianare la strada al mio progetto sul doppio cognome, che avevo già cominciato a inviare a partiti e parlamentari di ambo i sessi.

La sentenza del Tribunale di Palermo arrestava l’itinerario che mi ero prefissata e alcuni commenti apparsi sulla stampa, tra cui quello del giurista Giovani Conso, mi rendevano evidente come ci fosse molto lavoro da fare, prima che una riforma di tal genere potesse essere considerata ipotizzabile.
Non mi soffermo sull’attività che per me ne seguì, perché il punto da analizzare ora è un altro.

Cosa trasmetteva all’epoca in cui io iniziavo il mio percorso, ovvero nel 1979, quella particolare soppressione oggi dichiarata interamente illegittima dalla Corte Costituzionale? Diverse suggestioni più o meno manifeste. Eccone alcune.
1 – La donna vale meno dell’uomo e il punto da individuare per lei nella scala di attribuzione dei valori è affidato al capriccio maschile.
2 – La generatività femminile è subordinata alla “validazione” maschile. La presenza del cognome paterno “certifica” la legittimità della sua generazione, l’assenza espone al ludibrio sia la donna sia il figlio, in quanto solo l’uomo ha IL DIRITTO di mettere al mondo, sia pure per interposta persona. Se la donna lo fa, senza la sua “benedizione” è una reietta e tale rende anche suo figlio.
3 – Se il padre è l’unico rappresentante dei figli, tanto che di cognome questi portano solo il suo, allora è al padre – ovvero all’uomo – che occorre assicurare la possibilità di lavoro e occorre farlo nelle migliori condizioni per lui (e per chi glielo fornisce).
4 – Se l’uomo deve lavorare e deve farlo in condizioni ottimali, allora non deve avere preoccupazioni familiari di accudimento. Non basta il vantaggio che presenta per non essere soggetto a gravidanze e parti, al sistema produttivo il lavoratore deve assicurare di più. La donna da lui presa in moglie se ne stia a casa per accudire sia i figli sia lui. In tal modo il sistema produttivo su cui si basa l’assetto sociale rafforza nell’uomo la sua percezione di preminenza indiscussa sull’altro sesso, che condiziona l’ambito familiare.
5 – Se la subordinazione della donna così stabilita viene meno perché costei prova a sottrarsi al ruolo confezionatole dal sistema e affidato al controllo degli uomini in funzione di sentinelle attive, allora la stessa va punita in tutti i modi “leciti” possibili. In realtà anche con quelli illeciti.

Non sono poche le scusanti, infatti, con cui il sistema socio-giuridico si è adoprato per aggirare o ridurre al minimo il peso di violenze e di delitti che nei tempi andati non venivano ancora classificati come femminicidi. L’uomo (marito / fidanzato / innamorato) che infliggeva violenze varie o uccideva la donna:
– difendeva il suo onore;
– era stato provocato;
– era in preda a un raptus;
– l’amava quasi più della sua vita (molto quasi);
– lei lo aveva illuso e poi respinto. Come non compatirlo,
povero figliuolo? Altre formule semi-assolutorie potremmo elencare e alcune le ritroviamo ancora oggi, se non nel diritto quanto meno nel sentire comune che si riversa spesso sulla stampa.

Il punto era allora e ancora oggi è: se la donna è sopprimibile simbolicamente e concettualmente, allora può diventarlo anche nella realtà. È un pensiero inconscio ma consideriamo QUANDO viene (ancora troppo presto per poter dire “veniva”) instillato nei soggetti umani. Accade a partire dalla nascita, ovvero in un momento in cui nessuno schema logico cosciente, tale da svelare e contrastare quel messaggio subliminale, si è ancora formato nei bambini. A questo input se ne aggiungono altri di cui la nostra società maschilista purtroppo è intrisa e che difficilmente è possibile contenere. Ne deriva una combinazione micidiale.

La sentenza 131/2022 della Corte costituzionale ha sancito l’ILLEGITTIMITÀ ab origine della patrilinearità del cognome e reso obbligatoria l’attribuzione ai figli del cognome di entrambi i genitori, a meno che gli stessi non abbiano concordemente optato per quello di uno solo di essi.
Si potrebbe pensare che la questione sia stata risolta, ma se lo è sul piano giuridico non lo è su quello sociale. Non è un caso se la stampa continuamente ci informa (il più delle volte gongolando) di un flop del doppio cognome, che viene scelto per i nuovi nati con percentuali bassissime.
Certamente è una novità. Certamente le nuove disposizioni pratiche derivate dalla sentenza non sono conosciute abbastanza ma la ragione di fondo non è questa. Il punto è che le suggestioni precedenti continuano ad agire indisturbate nelle stesse donne, che non solo non riconoscono come discriminante l’esclusione del loro cognome da quello dei figli ma – ed è più grave – non hanno compreso il valore radicalmente educativo che quella presenza tangibile comporta.

Nel tempo, Senatrice, ho inviato in Parlamento diverse petizioni. La prima, del 2013, prevedeva solo il doppio cognome obbligatorio. Ne ho modificato l’impianto nel 2014 dopo la sentenza di Strasburgo, che sanciva il diritto dei genitori di voler attribuire ai figli solamente il cognome materno (quello dunque di un solo genitore). Ne ho presentato una più approfondita nel 2018.
La più recente è successiva alla sentenza 131/2022 e ne ricalca le modalità linguistiche assolutamente neutre, oltre a prevedere alcune possibili norme per restituire ai figli quei diritti personali che loro competono e che la residuale concezione dell’uomo quale pater familias continua almeno in parte a disconoscere.

Si potrebbe pensare che quest’ultima mia petizione non fosse in realtà necessaria, perché c’era da aspettarsi che le nuove proposte legislative presentate a Camera e Senato sarebbero state adeguate in modo congruo alla sentenza della Consulta citata. Da quel che mi è possibile constatare però - limitatamente alle proposte già assegnate e di cui dunque il testo è agevolmente consultabile sul sito parlamentare -, i Ddl apparsi in questa legislatura ricalcano le stesse orme di quelli della legislatura precedente, senza che le indicazioni della Corte Costituzionale siano state assimilate al punto da eliminare ogni pericolosa traccia di omaggio alla tradizione patriarcale, in primo luogo nel linguaggio adottato. E il linguaggio non è solo forma; è una forma che si rende sostanza.

Un linguaggio normativo che relega all’ultimo posto tra le scelte l’assunzione del cognome materno sta confermando lo schema precedente pur nella novità del ventaglio di possibilità considerate. Un linguaggio che lungi dall’utilizzare le formule asettiche della sentenza 131/2022 «dà precedenza enunciativa, contraria perfino all’ordine alfabetico, al cognome del padre rispetto a quello della madre o di entrambi» sta operando un «raccordo ideologico con la tradizione precedente il cui fondamento è stato dichiarato DEFINITIVAMENTE illegittimo» dalla Corte. Un linguaggio che “salva la priorità” della discendenza dal padre rispetto alla discendenza dalla madre  tradisce la funzione profonda della riforma necessaria, che è quella di eliminare ogni rapporto di forza che neghi la realtà della natura.

La realtà, Senatrice, è che i figli sono generati in misura maggiore dalla donna e non dall’uomo. Se si accetta di considerare una parità nella relazione tra i genitori e i figli è perché dopo la nascita che consegue a una gravidanza e a un parto (che sono esclusivamente femminili e spostano verso la madre l’entità del contributo alla generazione dei figli) i genitori si assumono pari responsabilità rispetto ai figli e non perché sia lecito considerare innanzitutto figli-dei-padri i figli messi al mondo dalla donna.
Non si continua a strizzare l’occhio al passato nel linguaggio senza determinare conseguenze. Se non romperemo il circuito malefico che fa sentire ancora oggi l’uomo il detentore dello scettro in famiglia, non avremo eliminato il fattore primario della violenza di genere.

E allora, Senatrice Bongiorno, La prego di voler considerare la possibilità che io sia convocata in occasione di una delle audizioni che sicuramente saranno da Lei disposte al fine di pervenire con tutti gli strumenti necessari a un testo unificato. Glielo chiedo perché nella mia Petizione che è stata annunciata di recente in Senato col n. 189 ho precisato in una lunga premessa le ragioni che hanno determinato la formulazione dei singoli articoli, ma non ho potuto – per evitare un eccesso di lunghezza che avrebbe forse scoraggiato un’attenta lettura del testo – includere quelle stesse considerazioni analitiche di natura prettamente sociale che ho invece esposto a Lei nella prima parte di questa Lettera.

Riporto un brano di un mio breve saggio del 1988: « Non è da escludere che quel tipo d’aggressività maschile delinquenziale, giunta a concretizzarsi di frequente in episodi di violenza sessuale individuale o di gruppo, non abbia, tra i fattori che sono alla sua origine, anche l’estraneità della donna ai processi di formazione dell’identità maschile».

Oggi sono ancor più convinta di questo nesso malefico, che solo una riforma che non resti astrattamente sulla carta ma penetri massivamente nelle coscienze potrà seriamente contribuire a rimuovere. Concludevo quel brano scrivendo: «Può darsi, indubbiamente, che tale intuizione sia infondata; ma se non lo fosse, sarebbe follia non cercare di rimuovere un fattore, che di formale avrebbe, in tal caso, ben poco».

Proprio così, Senatrice Bongiorno. Lei, che di violenza contro le donne si è occupata attivamente e con convinzione, mi ascolti. Sarebbe follia non provarci.

21 Dicembre 2022

 

© Iole Natoli

Il COGNOME dei CONIUGI e dei FIGLI in una Petizione successiva alla Sentenza della Consulta

 

Nuove Norme sul NOME della PERSONA e sul COGNOME dei CONIUGI e dei FIGLI, 19esima Legislatura

di Iole Natoli


Foto di Cheryl Holt da pixabay.com/it


La Petizione è presente a questo link.

Ai Presidenti e Vicepresidenti di Camera e Senato, ai Presidenti e Vicepresidenti delle Commissioni Giustizia di Camera e Senato, a Senatori e Deputati della XIX Legislatura, alla Presidente del Consiglio e alla Ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, al Capo Dipartimento per i Rapporti con il Parlamento.

Nuove Norme sul NOME della PERSONA e sul COGNOME dei CONIUGI e dei FIGLI, 19ª Legislatura -  In esecuzione della SENTENZA della Corte europea dei diritti dell’uomo 7 gennaio 2014 e della SENTENZA della Corte Costituzionale italiana 131/2022.
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Sommario: 

Punti salienti della proposta
Premessa agli articoli

Articoli
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Punti salienti della proposta
Cognome del figlio: 
alla nascita due cognomi, uno per genitore, o quello/i di un solo genitore (madre o padre) con dichiarazione concorde.
Ordine dei cognomi nel doppio: 
come da dichiarazione concorde dei genitori, o per sorteggio in caso di disaccordo.
Modifica del Cognome del minore che ha quello/i di un solo genitore: 
ininfluente il consenso del genitore di cui il figlio ha già il cognome (o i cognomi) alla richiesta di aggiunta del cognome dell’altro genitore (il/la richiedente), ma parere necessario del figlio se già 14enne.
Modifica del o dei Cognomi del figlio maggiorenne: 
previste aggiunta, inversione dell’ordine, soppressione di un cognome, sostituzione con entrambi i cognomi di un solo genitore.
Cognomi dei coniugi: 
ciascuno si tiene il suo. Eliminazione del cognome maritale per la moglie
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Premessa ai 12 articoli di cui alla PROPOSTA

Egregi Presidenti e Vicepresidenti delle Camere e delle Commissioni Giustizia, Egregi Senatori e Senatrici, Egregie Deputate e Deputati, Egregia Presidente del Consiglio ed Egregia Ministra,
appare utile richiamare preliminarmente l’attenzione su due condizioni operative, che provengono non solo da convinzioni consolidate della scrivente ma dai contenuti espliciti della sentenza della CEDU del 7 gennaio 2014 e della sentenza 131/2022 della Corte Costituzionale italiana.

La Corte Europea si è espressa nel 2014 su un ricorso proposto da una coppia italiana coniugata, che avrebbe voluto attribuire alla sua prima figlia il solo cognome della madre. Nel dichiarare legittima la richiesta, la Corte argomentava che la decisione della coppia di chiedere per la figlia l’aggiunta del cognome materno tramite istanza al Prefetto, intervenuta nel corso dei lunghi processi, non sanava il vulnus recato alla libertà e al diritto dei genitori dall’impossibilità di attribuzione alla nascita del solo cognome materno e concludeva con una sentenza di condanna per l’Italia.

Consegue a tale decisione della CEDU che nessuna proposta di legge sul cognome dei figli può limitare o confinare a casi gravi il diritto dei genitori di scegliere se attribuire alla prole il cognome di un solo genitore o quello di entrambi e, ancora, quale dei propri cognomi ciascun genitore può assegnare alla prole ove ne abbia più di uno, interferendo in una qualsiasi maniera con la libertà della coppia genitoriale di gestire nel modo ritenuto più idoneo la vita privata familiare. In altri termini, legiferare a favore del solo doppio cognome non è praticabile e non lo è nemmeno legiferare a favore del solo cognome singolo, materno o paterno. La legge deve invece prevedere le diverse possibilità e deve farlo in modo esplicito e chiaro, senza creare presupposti ideologici o di comodo che producano una pur lieve disparità nella coppia genitoriale, che non sia determinata da fatti reali, e senza strizzare in qualche modo l’occhio a prassi precedenti, dichiarate TUTTE ILLEGITTIME dalla sentenza della Consulta 131/2022 e dunque non replicabili sotto qualsiasi forma.

A parte ciò, già nella sentenza 286/2016 la Corte Costituzionale, nell’analizzare la condizione del figlio cui veniva negato dal sistema vigente, salvo onnipotente consenso del genitore maschio, di collegarsi a ciascuno dei genitori assumendo alla nascita due cognomi, aveva posto nel dovuto rilievo quanto importante fosse per la formazione della personalità del figlio relazionarsi con entrambi i rami del suo parentado più stretto. Delineava con ciò se non una inderogabilità al doppio cognome, impossibile per le ragioni sopra esposte, quanto meno una preferibilità dello stesso a tutto vantaggio del figlio.

Le conclusioni espresse dalla corte nella recente sentenza 131/2022 stabiliscono che il figlio, riconosciuto contemporaneamente da entrambi i genitori o nato nel matrimonio, «assume i cognomi dei genitori, nell’ordine dai medesimi concordato, fatto salvo l’accordo, alla nascita, per attribuire il cognome di uno di loro soltanto».

Nella proposta che con questa petizione si presenta si è quindi formulato un insieme di norme che indirizzano esattamente in questo senso, sia nella sostanza sia nella forma
La formulazione infatti differisce radicalmente da quella utilizzata nelle proposte di legge delle legislature passate, in quanto NON dà precedenza enunciativa, contraria perfino all’ordine alfabetico, al cognome del padre rispetto a quello della madre o di entrambi, ma utilizza lo stesso linguaggio ASETTICO della sentenza 131/2022, evitando così il raccordo ideologico con la tradizione precedente il cui fondamento è stato dichiarato DEFINITIVAMENTE illegittimo.
Quanto alla sostanza, la presente proposta prevede il doppio cognome, composto da un cognome per genitore, in assenza di un’opzione diversa indicata dai genitori. Come d’obbligo, si è prevista la possibilità alternativa, ovvero l’attribuzione del cognome di un solo genitore, dell’uno o dell’altro sesso, in presenza di una volontà espressa concordemente da entrambi.

Nella pianificazione dell’ordine dei cognomi si è applicato il criterio di assoluta parità della coppia a cui si ispira la sentenza, prevedendo il sorteggio in caso di disaccordo manifesto tra i genitori. 
Il ricorso all’ordine alfabetico costituisce infatti l’introduzione di una disparità occulta nella relazione di coppia. Se si sa in partenza che si sarà vincenti grazie a una posizione alfabetica favorevole, non si è disposti a confrontarsi e mediare per un accordo. Il genitore alfabeticamente svantaggiato viene così posto in una condizione di assenza di probabilità di successo e d’impotenza assoluta. Senza contare che l’ordine alfabetico costituirebbe nel tempo un fattore di esaurimento dei cognomi alfabeticamente meno favoriti, con conseguente impoverimento della ricchezza dei cognomi italiani. 
La strategia del sorteggio in caso di disaccordo sull’ordine è stata adottata dal Lussemburgo con la “Loi du 23 décembre 2005 relative au nom des enfants”, senza che il Paese andasse incontro a crisi dell'identità nazionale o a un default economico. È la soluzione più logica e rispettosa a cui sia possibile ricorrere ed è quella che qui si propone.
Ancora, l’ordine in cui verrebbero posti i due cognomi per applicazione delle regole sopra enunciate non rischierebbe di introdurre forzature – peraltro non volute dalla Consulta - limitando la libertà delle generazioni successive, giacché ciascun genitore indica quale dei suoi eventuali due cognomi intende attribuire al figlio, indipendentemente dall’ordine nel quale personalmente li ha.

In assenza di qualsiasi indicazione sull’ordine, volontaria o dovuta a impedimento fisico di uno dei genitori o di entrambi, e dunque IN ASSENZA sia DI ACCORDO sia DI DISACCORDO sull’ordine, la priorità sia data per regola al cognome materno, come già accade nei paesi nordici, attenendosi a un evidentissimo dato concreto ovvero a quella  i n n e g a b i l e  ma invidiosamente occultata prossimità neonatale, che all’atto della nascita lega il titolare dell’acquisto del cognome, che è il figlio, esclusivamente alla madre, condizione bilaterale che sarebbe non solo autoritario ma altresì discriminante - perché in opposizione alle politiche di genere che esigono rispetto per la donna e per le sue particolari funzioni che ne fanno un unicum nella coppia genitoriale - continuare  p a t e t i c a m e n t e  a occultare
Il cognome è del figlio e non dei genitori e se costoro preferiscono non indicare un ordine di precedenza o ne sono impossibilitati per una qualche condizione particolare, allora è solo la relazione del figlio con la genitrice (unico membro della coppia genitoriale con cui il figlio è stato ed è ancora in rapporto al momento della nascita) il criterio che può dar luogo a quell’ordine.

Fin qui i genitori già con doppio o addirittura triplo cognome se stranieri, che abbiano chiesto l’aggiunta del cognome materno o che abbiano voluto per il figlio il doppio cognome alla nascita dopo la sentenza 131/2022, si son trovati a dover dare al figlio tre o anche più cognomi e a dover presentare poi istanza in Prefettura per la riduzione dell’eccessiva lunghezza. Ciò perché il doppio cognome è stato considerato in Italia un cognome indivisibile. Benché gli articoli che prevedono di assegnare un solo cognome indirettamente modifichino il concetto, probabilmente non è superfluo specificare preliminarmente che il cognome ricevuto composto da più di un elemento non costituisce cognome indivisibile.

Particolare attenzione è stata riservata alla centralità dell’interesse del figlio,  evidenziata nella 131/2022.
Per quanto concerne le situazioni pregresse, è da notare che senza una regolamentazione specifica queste non solo permarrebbero irrisolte, in illecita continuità della patrilinearità obbligatoria dichiarata illegittima ab origine nella citata sentenza, ma priverebbero i figli già nati dei benefici che l’essere collegati grazie al doppio cognome a entrambi i genitori assicura al loro sviluppo, giacché il conseguimento di tale arricchimento psicologico è spesso ostacolato da dinieghi arbitrari di uno dei genitori.
Anche nei casi in cui la coppia genitoriale abbia deciso di attribuire a figli nati dopo la sentenza 131/2022 o dopo l'entrata in vigore della presente legge il cognome di un solo genitore, può accadere che intervengano riflessioni successive o fatti nuovi che determinino l’esigenza di modificare a favore del doppio cognome la soluzione inizialmente adottata. Ciò accade con maggiore evidenza in presenza di separazioni o divorzi, quando i figli si trovano a dover vivere alternativamente, anche per periodi di diversa durata, con un genitore di cui portano il cognome e con l’altro a cui invece nessun cognome li collega, situazione che può indurre disagio e persino ferite psicologiche in loro.
È interesse e anche diritto dei figli il poter essere collegati mediante uno stesso cognome a sorelle e fratelli generati da altre unioni dei loro genitori.
Da rilevare che provvedimenti specifici in tal senso sono stati assenti, almeno sino alla legislatura precedente, dalle varie proposte legislative, che non hanno prestato la dovuta attenzione alle situazioni sopra delineate.

Infine, il rispetto della centralità dell’interesse del figlio e la consapevolezza che egli è l’unico titolare del cognome o dei cognomi che gli sono stati attribuiti - cognome o cognomi che acquista e che non gli vengono trasmessi in quanto non costituiscono un bene ma uno strumento strutturante la personalità individuale (Trib. Civile di Palermo, Sez. I, sentenza 865/1982) - hanno determinato la formulazione di una norma che prevede la possibilità di modifica del o dei cognomi alla maggiore età, per garantire al soggetto che li porta una pacifica convivenza con se stesso, senza il ricorso a pratiche complesse.

Un’ultima considerazione sul cognome dei coniugi. L’attuale articolo 143-bis, introdotto nel 1975, costituisce elemento residuale di un sistema patriarcale che faceva dell’uomo - e dunque del suo cognome - il cardine della famiglia. Oggi non ha nessuna sia pur apparente legittimità di sussistere. Anche la soluzione di prevedere bilateralmente l’aggiunta del o dei cognomi dell’altro coniuge appare scarsamente ragionevole. Siamo in un’epoca in cui il divorzio è legge consolidata dello Stato, le vedovanze non sono venute meno per magia e l’esercizio di aggiungere e togliere cognomi a seconda del numero di matrimoni contratti da ciascun individuo è solo un aggravio di lavoro per la pubblica amministrazione, del tutto privo di vantaggi effettivi. Fa parte di un bagaglio culturale passato di cui è insensato tentare di ritardare l’estinzione.
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ARTICOLI

Art. 1 - (Diritto al nome)
L’art. 6 del codice civile è sostituito dal seguente.
Art. 6 - (Diritto al nome)
Ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito. 
Nel nome si comprendono un prenome e uno o due cognomi. 
Il cognome ricevuto composto da più di un elemento non costituisce cognome indivisibile. Ciò consente l'assegnazione di uno solo dei suoi elementi alla generazione successiva.
Non sono ammessi cambiamenti, aggiunte, o rettifiche del nome, se non nei casi e con le formalità di legge.

Art. 2 - (Cognome dei coniugi)
L'articolo 143-bis del codice civile è sostituito dal seguente. 
Art. 143-bis – (Cognome dei coniugi)
Ciascun coniuge conserva il proprio cognome e non aggiunge quello dell’altro coniuge.

Art. 3 - (Cognomi o cognome del figlio)   
È inserito nel codice civile il seguente articolo 143 quater.
Art. 143 quater - (Cognomi o cognome del figlio)
Il figlio acquista alla nascita due cognomi, uno per genitore, salvo accordo diverso espresso concordemente dai genitori. Il genitore che abbia più di un cognome indicherà quale di essi preferisce sia assunto dal figlio, indipendentemente dall’ordine nel quale egli li possiede.
Il cognome indicato da ciascun genitore, o assegnato in assenza di indicazioni dall'Ufficiale di stato civile, deve necessariamente coincidere con il cognome che sia già stato assunto da un figlio nato da un matrimonio, o al di fuori di esso e legalmente riconosciuto, oppure adottato.
L’ordine dei due cognomi da attribuire al figlio è indicato dai genitori con dichiarazione concorde e va mantenuto per i figli successivi della stessa coppia. In caso di disaccordo manifesto sull’ordine, l’Ufficiale di stato civile procederà al sorteggio. 
In assenza di indicazioni sull’ordine da parte di entrambi i genitori o di uno solo di essi per cause di forza maggiore, l’Ufficiale di stato civile assegnerà per primo il cognome materno seguito dal cognome paterno, ove non esistano altri figli della stessa coppia con differente sequenza degli elementi del doppio cognome. 
In alternativa al cognome di entrambi i genitori di cui ai commi precedenti è prevista l’attribuzione al figlio del cognome singolo o doppio di un solo genitore, della madre o del padre, solo in caso di dichiarazione concorde di entrambi i genitori resa all’Ufficiale di stato civile all’atto della registrazione anagrafica e ove non esistano già figli della stessa coppia genitoriale col cognome di entrambi. Il cognome attribuito non può in ogni caso differire dal cognome già attribuito ad altri figli della coppia.

Art. 4 - (Modifica del Cognome del figlio minore nato nel matrimonio o al di fuori di esso in stato di convivenza dei genitori)
È inserito nel codice civile il seguente articolo 143 quinquies.
Art. 143 quinquies - (Modifica del Cognome del figlio minore nato nel matrimonio o al di fuori di esso, oppure adottato) 
Qualora a un figlio o più figli minori sia stato attribuito alla nascita un solo cognome i genitori possono successivamente presentare all’Anagrafe richiesta di modifica mediante aggiunta o anteposizione del cognome mancante. La modifica deve riguardare tutti i figli della stessa coppia se minori di anni 14. 
La richiesta di modifica, con identica sequenza dei cognomi, diventa obbligatoria nel caso in cui i genitori abbiano attribuito a un loro figlio nato successivamente, o successivamente adottato, il doppio cognome.
Ove uno o più figli abbiano già compiuto i 14 anni di età, la richiesta dovrà essere convalidata dalla loro firma autenticata.
Qualora non vi sia il consenso alla modifica da parte di uno o più figli che abbiano già compiuto 14 anni, la coppia genitoriale dovrà ricorrere al parere vincolante del giudice, che valuterà la causa del rifiuto sentendo il minore o i minori. 
Il rifiuto di uno o più figli di modificare il proprio cognome che sia stato convalidato dal giudice non impedisce il passaggio al doppio cognome di altri figli minori di età inferiore agli anni 14 o che abbiano consentito alla modifica ove maggiori di anni 14.
La richiesta di aggiunta ha validità anche se presentata da uno solo dei genitori, con le stesse modalità, conseguenze e limitazioni previste nei commi precedenti. La richiesta non necessita del consenso dell’altro genitore.

Art. 5 - (Modifica del Cognome del figlio minore nato nel matrimonio o al di fuori di esso in caso di non convivenza dei genitori)
In caso di non convivenza dei genitori, ab origine o sopravvenuta, il genitore il cui cognome non è stato attribuito al figlio riconosciuto all’atto della nascita può presentare richiesta di aggiunta del suo cognome o di uno dei suoi cognomi. La richiesta va presentata all’Anagrafe e non necessita dell’assenso dell’altro genitore che non abbia l’affido esclusivo, ma dovrà essere convalidata dalla firma autenticata del figlio minore ove questi abbia compiuto i 14 anni di età.
Qualora l’altro genitore abbia l’affido esclusivo, il genitore richiedente dovrà allegare alla richiesta anche il consenso dello stesso.
Ove il genitore di cui il figlio porta il cognome abbia l’affido esclusivo e non rilasci il consenso, il genitore richiedente che consideri l’aggiunta un vantaggio psichico o giuridico del figlio può ricorrere al giudice, che esaminerà la richiesta nonché l’opposizione sentendo anche il figlio che abbia compiuto i 14 anni di età.
Il cognome indicato dal genitore richiedente per l’attribuzione deve necessariamente coincidere con il cognome che sia già stato assunto da un figlio nato da un matrimonio, o al di fuori di esso e legalmente riconosciuto, oppure adottato.

Art. 6 - (Cognomi o cognome del figlio riconosciuto da un solo genitore) 
L’art. 262 del codice civile è sostituito dal seguente. 
Art. 262 - (Cognomi o cognome del figlio riconosciuto da un solo genitore).
Il figlio riconosciuto da un solo genitore acquista il cognome del genitore che lo riconosce. Ove il genitore abbia due cognomi, questi potrà attribuirgli un solo cognome a sua scelta o entrambi nell’ordine da lui preferito. 
In caso di riconoscimento successivo da parte dell’altro genitore, il figlio mantiene sempre in prima posizione l’unico o il primo dei cognomi acquisiti alla nascita e aggiunge ad esso il cognome o uno dei cognomi del genitore che lo riconosce successivamente, secondo le indicazioni da questi fornite nella richiesta presentata all’Anagrafe. Tale aggiunta è subordinata al consenso del genitore che per primo ha riconosciuto il figlio e al consenso con firma autenticata del minore che abbia compiuto i 14 anni di età.
Ove il genitore che per primo ha riconosciuto il figlio neghi il consenso di cui al comma precedente o il figlio che abbia compiuto 14 anni rifiuti la modifica, il genitore richiedente che consideri l’aggiunta un vantaggio psichico o giuridico del figlio può ricorrere al giudice, che esaminerà la richiesta nonché l’opposizione ad essa, sentendo anche il figlio che abbia compiuto i 14 anni di età.
Il cognome indicato da ciascun genitore per l’attribuzione deve necessariamente coincidere con il cognome che sia già stato assunto da un figlio nato da un matrimonio, o al di fuori di esso e legalmente riconosciuto, oppure adottato.

Art. 7 - (Cognomi o cognome del figlio non riconosciuto da nessun genitore)
Dopo il nuovo art. 262 del codice civile si inserisce il seguente. 
Art. 262 bis - (Cognomi o cognome del figlio non riconosciuto da nessun genitore)
Qualora il figlio non sia riconosciuto da nessun genitore, l'Ufficiale di stato civile provvederà ad attribuirgli due cognomi in ordine alfabetico. 
È fatto divieto all’Ufficiale di stato civile di attribuire cognomi ridicoli o che siano riservati ai casi di non riconoscimento genitoriale.

Art. 8 - (Cognomi o cognome del figlio adottivo minorenne) 
L’art. 299 del codice civile è sostituito dal seguente.
Art. 299 - (Cognomi o cognome del figlio adottivo minorenne)  
Il figlio adottivo minorenne acquista due cognomi nell’ordine corrispondente a quello indicato obbligatoriamente da entrambi i genitori con dichiarazione concorde resa dagli stessi all’Ufficiale di stato civile all’atto della registrazione anagrafica. Tale sequenza va mantenuta per la filiazione ulteriore della coppia, sia di figli adottivi sia di figli biologici.
È fatto divieto a ciascun genitore di attribuire al figlio adottivo un cognome diverso da quello attribuito in precedenza ad altro figlio adottivo o biologico avuto da altra relazione.
Ove la coppia non abbia già altri figli e i genitori non abbiano raggiunto un accordo sull’ordine dei cognomi indicati, questo sarà determinato dal sorteggio effettuato dall’Ufficiale di stato civile.
In alternativa al doppio cognome di cui ai commi precedenti è prevista l’attribuzione di un cognome unico, materno o  paterno, solo nel caso di dichiarazione concorde di entrambi i genitori.
Qualora i genitori adottino o abbiano altri figli biologici successivamente all’assegnazione del cognome unico all’adottato e scelgano per la nuova filiazione il doppio cognome, dovranno obbligatoriamente presentare richiesta di modifica per uniformare il cognome unico del figlio adottato a quello attribuito alla nuova filiazione.
Ove il figlio adottato che abbia già compiuto i 14 anni rifiuti la modifica del cognome avuto all’atto dell’adozione, i genitori dovranno ricorrere al giudice, che esaminerà la richiesta nonché l’opposizione ad essa, sentendo anche il figlio per valutare le cause del rifiuto.

Art. 9 - (Modifica dei Cognomi o del Cognome della persona maggiorenne) 
Dopo l’art. 6 bis del codice civile, è inserito il seguente articolo 6 ter.
Art. 6 ter - (Modifica dei Cognomi o del Cognome della persona maggiorenne)
La persona può alla maggiore età modificare il proprio o i propri cognomi per mezzo di richiesta non motivata e non suffragata da consensi altrui e presentata all’Anagrafe nei modi di cui ai commi seguenti 2, 3 e 4.
Qualora abbia ricevuto un doppio cognome da uno solo o da entrambi i genitori, può chiedere l’inversione dell’ordine di essi o che ne sia soppresso uno a sua scelta. 
Qualora abbia ricevuto un solo cognome può chiedere l’aggiunta del cognome del genitore da cui non ne ha ricevuto nessuno, o di uno dei due cognomi a sua scelta e nell’ordine da lui stesso indicato ove detto genitore ne abbia due.
La persona maggiorenne può anche sostituire il cognome singolo o doppio ricevuto con quello doppio di uno solo dei genitori.
Nel caso in cui desideri chiedere l’aggiunta o la sostituzione di uno o di entrambi i suoi cognomi con uno o due cognomi non coincidenti con quello di nessuno dei suoi genitori, dovrà presentare richiesta motivata alla  Prefettura competente.

Art. 10 - (Modifica del regolamento di cui al DPR 396/2000, sull’Ordinamento dello stato civile)
La presente legge entrerà in vigore dopo 90 giorni dalla data di pubblicazione sulla G.U. Entro tale termine il DPR 396/2000 dovrà essere stato adeguato interamente alle nuove disposizioni qui contenute con apposito decreto e dovrà essere stata già emessa la circolare applicativa di cui necessitano gli Ufficiali dello Stato civile e i Prefetti.

Art. 11 - (Disposizione per gli iscritti all’AIRE)
Ai sensi della legge 27 ottobre 1988, n. 470, tutte le norme della presente legge si applicano anche agli italiani residenti all’estero e ai loro figli nati all’estero, che siano iscritti all’AIRE.

Art. 12 - (Clausola di invarianza finanziaria)
Le disposizioni di cui alla presente legge vanno attuate senza che ne derivino maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni pubbliche sono tenute a utilizzare nel modo più idoneo le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili già alla legislazione vigente.

21 Dicembre 2022

 

© Iole Natoli

Foto di Cheryl Holt da pixabay.com/it

Annuncio in Senato, seduta del 20.12.2022 con n. 189


Annuncio alla Camera, seduta del 13.01.2023
con n. 124




 

giovedì 15 settembre 2022

Il Governo emani un Decreto Legge per raccordare la sentenza 131/2022 della Consulta alle situazioni correnti

Compiti inderogabili per il Legislatore dopo la decisione della Consulta sui Cognomi (o sul Cognome) dei Figli

Di Iole Natoli

Rif.: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE

Presidente AMATO - Redattore NAVARRETTA

Udienza Pubblica del 26/04/2022

Decisione del 27/04/2022 - Deposito del 31/05/2022 Pubblicazione in G. U.

Norme impugnate: Artt. 237, 262 e 299 del codice civile; art. 72, primo comma, del regio decreto 09/07/1939, n. 1238 e artt. 33 e 34 del decreto del Presidente della Repubblica 03/11/2000, n. 396.


L’esistenza di talune conseguenze della bella e storica sentenza della Consulta ha indotto taluni commentatori ad addebitare impropriamente queste a detta Corte invece che alla pluriennale latitanza decisionale del Parlamento, che in più Legislature ha fatto sì che i diversi progetti di legge presentati alla Camera e al Senato divenissero carta straccia per non essere stati neanche discussi in alcuni casi, o discussi e approvati solo alla Camera nella Legislatura precedente, o analizzati in parte sul finire di questa, cosicché l’anticipo di alcuni mesi della chiusura, per il ricorso pre-scadenza alle urne, non ha determinato la sorte funebre già scritta dei progetti di legge sul cognome dei figli.

Può dunque solo muovere al riso che da talune parti siano state avanzate accuse alla Corte per essere intervenuta non solo abrogando ma altresì pronunciando una regola suppletiva, su una materia - hanno avuto la sfrontatezza di rilevare altri - che era oggetto di discussione in Senato (si è visto infatti in qual modo sia finita).
Come se la Consulta - che aveva l’obbligo di rispondere agli interrogativi sollevati da due tribunali per legittima iniziativa di alcuni cittadini, specie dopo che la sentenza della Corte di Strasburgo del 2014 aveva implicitamente reso impossibile qualsiasi rinvio alle calende greche delle soluzioni dovute – avesse potuto esimersi dall’abrogazione di quanto appariva ed era mostruosamente incostituzionale e come se avesse potuto ignorare che quell’abrogazione inevitabile avrebbe scaraventato la cittadinanza italiana nel caos, senza la formulazione di una regola consequenziale, chiamata suppletiva non a caso. Consequenziale a tutto l’impianto giuridico della nostra Costituzione e dei principi delle Convenzioni internazionali dal nostro Stato ufficialmente recepiti da tempo. I bambini avrebbero continuato a nascere – come infatti è accaduto – a dispetto dei mal di pancia delle fasce più reazionarie e conservatrici, in senso maschilista, della nostra popolazione. Basterebbe per confutare tutte queste distorte argomentazioni ricordare come siano alcuni lustri, peraltro, che la Corte sollecita il Parlamento a intervenire, cosicché certe accuse appaiono solo manifestazioni di malafede o frutto di crassa ignoranza.

Scrive infatti la Corte al punto 11.2 che, in quanto «delle numerose proposte di riforma legislativa, presentate a partire dalla VIII legislatura, nessuna è giunta a compimento» essa «non può più esimersi dal rendere effettiva la «legalità costituzionale» (ordinanza di autorimessione n. 18 del 2021)».
NON PUÒ PIÙ esimersi significa che si è già astenuta in passato e che NON può continuare a farlo. Ciò e per quanto scritto sopra – sentenza della CEDU del 2014 – e perché l’ultima scelta operata con la sentenza costituzionale del 2016, di limitare cioè l’intervento al “petitum”, aveva paradossalmente introdotto una discriminazione palese, ponendo la donna sotto il controllo dell’uomo, anziché lasciare come prima entrambi i genitori sotto il potere arbitrario d'una interazione tra norme, facente funzione di legge.

Ma vediamo nel dettaglio quali sono i punti che rendono urgente l’intervento del Parlamento, o per far prima del Governo mediante un Decreto Legge. Partiamo dalla regola generale stabilita con estrema chiarezza dalla Corte, premettendo che l’intero impianto della sentenza poggia sull’interesse del figlio – che è il solo titolare del cognome, singolo o doppio che sia – e sull’accordo dei genitori che di quell’interesse sono gli interpreti e i gestori, accordo reso insopprimibile dalla loro stessa funzione genitoriale.

Dopo aver dichiarato al punto 11.2 che «Il cognome del figlio deve comporsi con i cognomi dei genitori, salvo  (…) loro diverso accordo», la Corte specifica al punto 15.1: «Il presente intervento rende l’attribuzione del cognome di entrambi i genitori regola di carattere generale».

Ciò che è determinato dall’accordo è dunque esclusivamente l’attribuzione del cognome di uno solo dei genitori (o dei cognomi, ove questi ne abbia due), mentre l’attribuzione dei cognomi di entrambi è LA REGOLA che non necessita di alcuna specificazione, se non per quanto concerne l’ordine in cui quei cognomi dovranno essere assegnati.
Leggiamo infatti al punto 13: «… per poter attribuire al figlio il cognome di uno dei genitori, è necessario il loro accordo, non surrogabile in via giudiziale», notazione di grande rilevanza pratica, «in quanto implica la scelta di identificare con il cognome di uno dei genitori il duplice legame con il figlio. In mancanza di tale accordo, devono attribuirsi i cognomi di entrambi i genitori, nell’ordine dagli stessi deciso».

La Corte non tralascia in nessun momento di sottolineare l’importanza del DUPLICE LEGAME, ma non impone il doppio cognome. Se anche lo avesse voluto non avrebbe potuto farlo, perché la sentenza del 7 gennaio 2014 del Tribunale di Strasburgo, nata dalla volontà (non accolta dai nostri tribunali) di una coppia coniugata di attribuire alla figlia IL SOLO cognome della madre, confermava che l’attribuzione del cognome alla prole rientra nel diritto dei genitori di determinare l’indirizzo della vita familiare, tutelato dall’art. 8 della CEDU (convenzione da noi ratificata da tempo).

Ne consegue che la contraddizione tra interesse del figlio all’identità completa, dunque a portare il cognome di entrambi i genitori, e possibilità conferita agli stessi di assegnargli il cognome di uno di essi soltanto (madre o padre che sia) - contraddizione denunciata da una commentatrice in un suo saggio per altri aspetti molto approfondito – non esiste, per quanto si possa aver maturato la convinzione che il cognome di entrambi rappresenti la soluzione più appropriata. Peraltro, riservare il cognome singolo – determinato solo dalla decisione di un giudice – ai casi di danno che recherebbe al figlio il portare i cognomi di entrambi i genitori (dunque, ad esempio, anche quello di un genitore che si è macchiato di un crimine, ovvero il cognome di un genitore indegno) come suggerisce la commentatrice, significherebbe esporre pubblicamente il figlio a una lesione della sua vita privata, laddove il fatto che sia  possibile l’attribuzione di un solo cognome (della madre o del padre che sia) risolve, annullandone gli effetti sociali, l’individuabilità di situazioni gravose.

Torniamo adesso all’ordine dei cognomi nel doppio.
La sentenza ha stabilito che «devono attribuirsi i cognomi di entrambi i genitori, nell’ordine dagli stessi deciso».
Chiarissimo. E se i genitori non sono d’accordo su quest’ordine, che accade?
Scrive la Corte al punto 13 della sentenza: «Ove difetti l’accordo sull’ordine di attribuzione dei cognomi dei genitori, che è parte della regola suppletiva, si rende necessario dirimere il contrasto e lo strumento che le norme vigenti consentono, attualmente, di approntare è quello dell’intervento giudiziale».

Come se i tribunali non avessero niente di meglio da fare!, è stato in soldoni il commento affidato a Twitter da un leader della destra, poco incline a introdurre mutamenti nel costume sociale (patriarcale) esistente.
Primo errore: l’intervento del giudice è quello che l’art. 316 del codice civile ha già previsto e reso operativo per i casi di disaccordo tra i genitori su questioni di rilievo relative alla vita del figlio, tale intervento ha ben poco di complicato trattandosi di un ricorso privo di formalità (ovvero che non richiede la mediazione di un legale) e non è quello spauracchio che si pretende di descrivere per spaventare le folle (e sparlare liberamente della sentenza).
Secondo errore: si tratta di uno strumento transitorio, che deriva SOLO dalla mancanza di una legge, colpa non certo addebitabile alla Corte. Il termine “attualmente” non lascia adito a equivoci. Chi intendesse ad ogni costo ritenere che trattasi di una disposizione inderogabile potrà leggere utilmente quanto è scritto nel punto 11.3 della sentenza.

Si riporta dal punto 11.3, che tratta proprio del DISACCORDO sull’ordine degli elementi nel doppio cognome.
(…) «Quanto alla disciplina necessaria a dirimere l’eventuale disaccordo, in mancanza di diversi criteri, che potrà il legislatore eventualmente prevedere, questa Corte non può che segnalare lo strumento che l’ordinamento giuridico già appronta per risolvere il contrasto fra i genitori su scelte di particolare rilevanza riguardanti i figli. Si tratta del ricorso all’intervento del giudice, previsto, in forme semplificate, dall’art. 316, commi secondo e terzo, cod. civ., nonché – con riferimento alle situazioni di crisi della coppia – dagli artt. 337-ter, terzo comma, 337-quater, terzo comma, e 337-octies cod. civ». Ripetiamo: «in mancanza di diversi criteri, che potrà il legislatore eventualmente prevedere», la Corte «non può che segnalare»… ma l’italiano è proprio così difficile da comprendere?

Per finire, una nota sull’altro spauracchio, ovvero sulla moltiplicazione dei cognomi incombente. È FALSO sostenere che sia stata la Corte a determinare il sorgere del problema. Il doppio cognome esisteva da tempo; se ne è incrementato l’uso negli ultimi anni per le richieste di aggiunta del cognome materno operate tramite le Prefetture in ossequio alle norme vigenti; la Corte ha anche rilevato tutto questo, suggerendo peraltro una possibile soluzione non difforme da quella presente in tutti gli inutili disegni di legge di questa morente Legislatura, ovvero che ciascun genitore che abbia un doppio cognome ne assegni al figlio uno solo dei suoi - e trattandosi dei suoi e non di un bene comune, la scelta dovrebbe essere solo sua, senza intervento dell’altro genitore -, di conseguenza l’unica cosa che serve al posto degli inutili lamenti è UNA LEGGE.

Bene. Che piaccia o no ai detrattori di turno, la sentenza 131/2022 della Corte costituzionale non può essere ignorata né contraddetta da future norme che neghino i principi della nostra Costituzione e dei trattati internazionali a cui la Corte si è ispirata e attenuta nel formularla.
Ci auguriamo dunque che un serio e veloce lavoro da parte del Parlamento o del Governo su questo tema ci sia, per sciogliere quei nodi in sospeso che una vergognosa latitanza delle Legislature passate ha lasciato da risolvere all’oggi.

15 Settembre 2022

 

© Iole Natoli