giovedì 15 settembre 2022

Il Governo emani un Decreto Legge per raccordare la sentenza 131/2022 della Consulta alle situazioni correnti

Compiti inderogabili per il Legislatore dopo la decisione della Consulta sui Cognomi (o sul Cognome) dei Figli

Di Iole Natoli

Rif.: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE

Presidente AMATO - Redattore NAVARRETTA

Udienza Pubblica del 26/04/2022

Decisione del 27/04/2022 - Deposito del 31/05/2022 Pubblicazione in G. U.

Norme impugnate: Artt. 237, 262 e 299 del codice civile; art. 72, primo comma, del regio decreto 09/07/1939, n. 1238 e artt. 33 e 34 del decreto del Presidente della Repubblica 03/11/2000, n. 396.


L’esistenza di talune conseguenze della bella e storica sentenza della Consulta ha indotto taluni commentatori ad addebitare impropriamente queste a detta Corte invece che alla pluriennale latitanza decisionale del Parlamento, che in più Legislature ha fatto sì che i diversi progetti di legge presentati alla Camera e al Senato divenissero carta straccia per non essere stati neanche discussi in alcuni casi, o discussi e approvati solo alla Camera nella Legislatura precedente, o analizzati in parte sul finire di questa, cosicché l’anticipo di alcuni mesi della chiusura, per il ricorso pre-scadenza alle urne, non ha determinato la sorte funebre già scritta dei progetti di legge sul cognome dei figli.

Può dunque solo muovere al riso che da talune parti siano state avanzate accuse alla Corte per essere intervenuta non solo abrogando ma altresì pronunciando una regola suppletiva, su una materia - hanno avuto la sfrontatezza di rilevare altri - che era oggetto di discussione in Senato (si è visto infatti in qual modo sia finita).
Come se la Consulta - che aveva l’obbligo di rispondere agli interrogativi sollevati da due tribunali per legittima iniziativa di alcuni cittadini, specie dopo che la sentenza della Corte di Strasburgo del 2014 aveva implicitamente reso impossibile qualsiasi rinvio alle calende greche delle soluzioni dovute – avesse potuto esimersi dall’abrogazione di quanto appariva ed era mostruosamente incostituzionale e come se avesse potuto ignorare che quell’abrogazione inevitabile avrebbe scaraventato la cittadinanza italiana nel caos, senza la formulazione di una regola consequenziale, chiamata suppletiva non a caso. Consequenziale a tutto l’impianto giuridico della nostra Costituzione e dei principi delle Convenzioni internazionali dal nostro Stato ufficialmente recepiti da tempo. I bambini avrebbero continuato a nascere – come infatti è accaduto – a dispetto dei mal di pancia delle fasce più reazionarie e conservatrici, in senso maschilista, della nostra popolazione. Basterebbe per confutare tutte queste distorte argomentazioni ricordare come siano alcuni lustri, peraltro, che la Corte sollecita il Parlamento a intervenire, cosicché certe accuse appaiono solo manifestazioni di malafede o frutto di crassa ignoranza.

Scrive infatti la Corte al punto 11.2 che, in quanto «delle numerose proposte di riforma legislativa, presentate a partire dalla VIII legislatura, nessuna è giunta a compimento» essa «non può più esimersi dal rendere effettiva la «legalità costituzionale» (ordinanza di autorimessione n. 18 del 2021)».
NON PUÒ PIÙ esimersi significa che si è già astenuta in passato e che NON può continuare a farlo. Ciò e per quanto scritto sopra – sentenza della CEDU del 2014 – e perché l’ultima scelta operata con la sentenza costituzionale del 2016, di limitare cioè l’intervento al “petitum”, aveva paradossalmente introdotto una discriminazione palese, ponendo la donna sotto il controllo dell’uomo, anziché lasciare come prima entrambi i genitori sotto il potere arbitrario d'una interazione tra norme, facente funzione di legge.

Ma vediamo nel dettaglio quali sono i punti che rendono urgente l’intervento del Parlamento, o per far prima del Governo mediante un Decreto Legge. Partiamo dalla regola generale stabilita con estrema chiarezza dalla Corte, premettendo che l’intero impianto della sentenza poggia sull’interesse del figlio – che è il solo titolare del cognome, singolo o doppio che sia – e sull’accordo dei genitori che di quell’interesse sono gli interpreti e i gestori, accordo reso insopprimibile dalla loro stessa funzione genitoriale.

Dopo aver dichiarato al punto 11.2 che «Il cognome del figlio deve comporsi con i cognomi dei genitori, salvo  (…) loro diverso accordo», la Corte specifica al punto 15.1: «Il presente intervento rende l’attribuzione del cognome di entrambi i genitori regola di carattere generale».

Ciò che è determinato dall’accordo è dunque esclusivamente l’attribuzione del cognome di uno solo dei genitori (o dei cognomi, ove questi ne abbia due), mentre l’attribuzione dei cognomi di entrambi è LA REGOLA che non necessita di alcuna specificazione, se non per quanto concerne l’ordine in cui quei cognomi dovranno essere assegnati.
Leggiamo infatti al punto 13: «… per poter attribuire al figlio il cognome di uno dei genitori, è necessario il loro accordo, non surrogabile in via giudiziale», notazione di grande rilevanza pratica, «in quanto implica la scelta di identificare con il cognome di uno dei genitori il duplice legame con il figlio. In mancanza di tale accordo, devono attribuirsi i cognomi di entrambi i genitori, nell’ordine dagli stessi deciso».

La Corte non tralascia in nessun momento di sottolineare l’importanza del DUPLICE LEGAME, ma non impone il doppio cognome. Se anche lo avesse voluto non avrebbe potuto farlo, perché la sentenza del 7 gennaio 2014 del Tribunale di Strasburgo, nata dalla volontà (non accolta dai nostri tribunali) di una coppia coniugata di attribuire alla figlia IL SOLO cognome della madre, confermava che l’attribuzione del cognome alla prole rientra nel diritto dei genitori di determinare l’indirizzo della vita familiare, tutelato dall’art. 8 della CEDU (convenzione da noi ratificata da tempo).

Ne consegue che la contraddizione tra interesse del figlio all’identità completa, dunque a portare il cognome di entrambi i genitori, e possibilità conferita agli stessi di assegnargli il cognome di uno di essi soltanto (madre o padre che sia) - contraddizione denunciata da una commentatrice in un suo saggio per altri aspetti molto approfondito – non esiste, per quanto si possa aver maturato la convinzione che il cognome di entrambi rappresenti la soluzione più appropriata. Peraltro, riservare il cognome singolo – determinato solo dalla decisione di un giudice – ai casi di danno che recherebbe al figlio il portare i cognomi di entrambi i genitori (dunque, ad esempio, anche quello di un genitore che si è macchiato di un crimine, ovvero il cognome di un genitore indegno) come suggerisce la commentatrice, significherebbe esporre pubblicamente il figlio a una lesione della sua vita privata, laddove il fatto che sia  possibile l’attribuzione di un solo cognome (della madre o del padre che sia) risolve, annullandone gli effetti sociali, l’individuabilità di situazioni gravose.

Torniamo adesso all’ordine dei cognomi nel doppio.
La sentenza ha stabilito che «devono attribuirsi i cognomi di entrambi i genitori, nell’ordine dagli stessi deciso».
Chiarissimo. E se i genitori non sono d’accordo su quest’ordine, che accade?
Scrive la Corte al punto 13 della sentenza: «Ove difetti l’accordo sull’ordine di attribuzione dei cognomi dei genitori, che è parte della regola suppletiva, si rende necessario dirimere il contrasto e lo strumento che le norme vigenti consentono, attualmente, di approntare è quello dell’intervento giudiziale».

Come se i tribunali non avessero niente di meglio da fare!, è stato in soldoni il commento affidato a Twitter da un leader della destra, poco incline a introdurre mutamenti nel costume sociale (patriarcale) esistente.
Primo errore: l’intervento del giudice è quello che l’art. 316 del codice civile ha già previsto e reso operativo per i casi di disaccordo tra i genitori su questioni di rilievo relative alla vita del figlio, tale intervento ha ben poco di complicato trattandosi di un ricorso privo di formalità (ovvero che non richiede la mediazione di un legale) e non è quello spauracchio che si pretende di descrivere per spaventare le folle (e sparlare liberamente della sentenza).
Secondo errore: si tratta di uno strumento transitorio, che deriva SOLO dalla mancanza di una legge, colpa non certo addebitabile alla Corte. Il termine “attualmente” non lascia adito a equivoci. Chi intendesse ad ogni costo ritenere che trattasi di una disposizione inderogabile potrà leggere utilmente quanto è scritto nel punto 11.3 della sentenza.

Si riporta dal punto 11.3, che tratta proprio del DISACCORDO sull’ordine degli elementi nel doppio cognome.
(…) «Quanto alla disciplina necessaria a dirimere l’eventuale disaccordo, in mancanza di diversi criteri, che potrà il legislatore eventualmente prevedere, questa Corte non può che segnalare lo strumento che l’ordinamento giuridico già appronta per risolvere il contrasto fra i genitori su scelte di particolare rilevanza riguardanti i figli. Si tratta del ricorso all’intervento del giudice, previsto, in forme semplificate, dall’art. 316, commi secondo e terzo, cod. civ., nonché – con riferimento alle situazioni di crisi della coppia – dagli artt. 337-ter, terzo comma, 337-quater, terzo comma, e 337-octies cod. civ». Ripetiamo: «in mancanza di diversi criteri, che potrà il legislatore eventualmente prevedere», la Corte «non può che segnalare»… ma l’italiano è proprio così difficile da comprendere?

Per finire, una nota sull’altro spauracchio, ovvero sulla moltiplicazione dei cognomi incombente. È FALSO sostenere che sia stata la Corte a determinare il sorgere del problema. Il doppio cognome esisteva da tempo; se ne è incrementato l’uso negli ultimi anni per le richieste di aggiunta del cognome materno operate tramite le Prefetture in ossequio alle norme vigenti; la Corte ha anche rilevato tutto questo, suggerendo peraltro una possibile soluzione non difforme da quella presente in tutti gli inutili disegni di legge di questa morente Legislatura, ovvero che ciascun genitore che abbia un doppio cognome ne assegni al figlio uno solo dei suoi - e trattandosi dei suoi e non di un bene comune, la scelta dovrebbe essere solo sua, senza intervento dell’altro genitore -, di conseguenza l’unica cosa che serve al posto degli inutili lamenti è UNA LEGGE.

Bene. Che piaccia o no ai detrattori di turno, la sentenza 131/2022 della Corte costituzionale non può essere ignorata né contraddetta da future norme che neghino i principi della nostra Costituzione e dei trattati internazionali a cui la Corte si è ispirata e attenuta nel formularla.
Ci auguriamo dunque che un serio e veloce lavoro da parte del Parlamento o del Governo su questo tema ci sia, per sciogliere quei nodi in sospeso che una vergognosa latitanza delle Legislature passate ha lasciato da risolvere all’oggi.

15 Settembre 2022

 

© Iole Natoli