domenica 25 marzo 2012

SOCIETÀ E DIRITTO / L'aggiunzione del COGNOME MATERNO e altro ancora


Il DPR di Modifica dello Stato Civile che semplifica le pratiche esistenti
LE VIE INDIRETTE PER IL COGNOME MATERNO

di Iole Natoli

In uno Stato meno conservatore del nostro, una legge di modifica dell’attuale sistema patrilineare dei cognomi, che esclude la donna dalla possibilità di dare il suo cognome a suo figlio e impone al figlio di non relazionarsi attraverso il cognome anche alla famiglia materna, sarebbe stata già approvata da un pezzo. Siamo proprio tra gli ultimi in Europa a rimanere ancora abbarbicati a un residuo di patriarcato evidente, che ci espone peraltro a condanne per inadempienza di normative antidiscriminatorie internazionali, che abbiamo da lungo tempo sottoscritte. E tuttavia, benché nessuna delle proposte di legge avanzate dal 1979 sino ad oggi sia giunta a un’approvazione in Parlamento, già da tempo una piccola rivoluzione è in cammino.
Iole Natoli - Avanzando nel caos del giorno - Olio, 1989

La strada è stata fin qui farraginosa, fatta di motivazioni e tempi lunghi, che però adesso dovrebbero accorciarsi grazie a un Decreto Presidenziale in arrivo.
Se per legge non si può attribuire il cognome materno al figlio alla nascita, è tuttavia possibile che, in una fase successiva, quel cognome il figlio possa averlo con una pratica di cambio di cognome, che consente di trasformare un cognome unico originario in uno nuovo, fatto di due elementi, di cui il secondo è il cognome materno.
Questa pratica, abbastanza difficoltosa ai suoi inizi - basti pensare che tuttora la richiesta di aggiungere il cognome materno va “motivata”, come se la relazione madre-figlio non fosse di per sé sufficiente - ha incontrato via via meno ostacoli ed è stata attivata anche da adulti, tra i quali, o forse per lo più, troviamo uomini, che non hanno avuto problemi nel riconoscere il legame reale che li unisce alle loro madri e nel rispettare tale legame biologico e affettivo mediante l’aggiunzione del cognome.
Se fino ad ora la dipendenza dal Ministero dell’Interno rendeva lento l’iter delle pratiche, lo spostamento delle competenze alle Prefetture, come previsto dal Decreto presidenziale del 24/02/2012, di cui si attende la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ne abbrevierà l’espletamento utilmente.
Dando, però, più da vicino uno sguardo al D.P.R. troviamo scritto al punto 1 che: “chiunque potrà chiedere di aggiungere il cognome materno a quello paterno” (e fin qui brindisi per quel “chiunque” che compare, forse scompaiono le motivazioni ridicole) e al punto 2: “Le donne divorziate o vedove potranno aggiungere il cognome del nuovo marito ai propri figli”.
Cosa? E perché il figlio dovrebbe assumere il nome del patrigno e non quello della propria madre, che potrebbe esser dato anche ai nuovi figli, nati dal successivo matrimonio? I cognomi di due uomini e nessuno della madre, che peraltro i figli, benché si voglia dimenticarlo, li fa?
Pare che esistano richieste in tal senso. Pare anzi che alcune o molte siano state già soddisfatte. Di primo impulso pensiamo che possano derivare, almeno in massima parte, da scarsa consapevolezza di sé delle donne che eventualmente le avanzano e non da un’evoluzione del costume sociale, che occorre invece incoraggiare e promuovere. E tuttavia una riflessione ulteriore ci porta a considerare che un cognome che unisca i figli, che con la nuova coppia convivono, al nuovo partner del loro genitore non è poi un’esigenza insensata, se soltanto si pensa alle volte in cui un facente funzione di padre si troverà a dover spiegare ad altri che non vedono rispondenza nei cognomi: “Beh, sì è il figlio o la figlia di mia moglie”, generando disagio nei bambini e sentendosi in tal modo egli stesso continuamente separato dai piccoli. Si tratta di una situazione problematica che, al momento, riguarda   solo le nuove famiglie create da donne divorziate o vedove, ma che potrà ribaltarsi sugli uomini, una volta approvata una riforma.
Questo comporta che intanto la donna dovrebbe necessariamente scomparire per far posto al cognome “maritale”, come il decreto induce quasi a pensare? No. Significa, invece, che una legge che tratti a monte ogni aspetto del problema va fatta e che non basta accelerare pratiche tappabuchi, per credere che il cambiamento sia arrivato.
Basterebbe che fosse il nuovo coniuge ad aggiungere al suo il cognome della donna, presente anche nel cognome dei piccoli, affinché il collegamento familiare ci sia, senza viziare la “verità” dei bambini. L’avanzata legislazione svedese, ad esempio, consente di anteporre il cognome del coniuge al proprio e di risolvere in tal modo il problema.
L’innovazione non può passare dal vecchio. Occorre una legge sui cognomi che affronti in modo radicalmente nuovo ogni problema, ma occorre anche - se vogliamo che la rivoluzione dei cognomi serva a un mutamento in meglio del sociale - che la relazione tra i due soggetti generanti e la prole, che passa anche attraverso i cognomi, non sia affidata alla capricciosa scelta di un giorno, ma permanga inalterata nel tempo, fino alla maggiore età di ciascun figlio.

Milano, 25 Marzo 2012
© Iole Natoli
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