mercoledì 6 dicembre 2023

Lettera aperta alla Senatrice #Bongiorno / Rinnovo di richiesta di audizione nella Commissione Giustizia

Cognome dei Coniugi e dei Figli. Criticità nei DdL esistenti
Di Iole Natoli

foto di it.freepik.com

Giulia Bongiorno: «La violenza è conseguenza di un ordine sociale diseguale, di una relazione che colloca gli uomini in una posizione di privilegiata supremazia e le donne in una situazione di subordinazione, debolezza, dipendenza, incompiutezza. (…) La violenza va dunque spiegata innanzitutto come retaggio culturale di una struttura sociale patriarcale, fondata su quell’autorità che il pater familias esercitava nell’antica Roma». E con riferimento agli attacchi fisici compiuti ai danni delle donne, l’autrice aggiunge: «Eloquenti in tal senso sono i frequentissimi atti di spersonalizzazione della vittima». Dal libro Con la scusa dell’amore, di Giulia Bongiorno e Michelle Hunziker, pp.88-89.

Domande della scrivente:
QUANDO ci si renderà conto che il MARCHIO patriarcale del cognome,
dato ai figli escludendo le madri,
farà crescere un alto numero di maschi nella convinzione di essere
 PROPRIETARI delle donne?
E QUANDO si capirà che rafforzare il senso 
di presunta indissolubilità dei legami di coppia, 

con misure legislative antistoriche, 

gioca a favore dei femminicidi e pone a rischio la vita delle donne?

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Nel dicembre dello scorso anno, ho inviato alla senatrice Bongiorno, Presidente della Commissione Giustizia del Senato, una richiesta di audizione (1) che con questa lettera aperta ora sollecito. La mia richiesta non nasceva e non nasce da un capriccio, ma dal lungo percorso attivo sul tema del cognome della donna e dei figli, iniziato nel 1979 (2) e che da allora non è mai stato interrotto.

Cosa mi riprometto di dire alle e ai componenti delle due Commissioni Giustizia? Non basta che io lo scriva in una Lettera? Probabilmente no. Dalle parole scritte siamo ormai tutte e tutti soverchiati in questi tempi di messaggi via social e spesso non ci facciamo più caso. Un colloquio, uno scambio, una presenza richiama invece alla soggettività personale e induce a una più attenta riflessione.

Nelle proposte presenti in Parlamento, accanto ad alcuni passi avanti rispetto alle formulazioni precedenti – non tutte, infatti, sono semplici ripetizioni di quelle antecedenti alla sentenza 131/2023 della Consulta – si registrano taluni passi indietro, di cui è sfuggita di fatto l’importanza. Tra questi, la massiccia presenza dell’aggiunta del cognome del coniuge nel matrimonio, come possibilità e non più obbligo solo per le donne – salvo nel caso di un comma passibile di eccezione di costituzionalità, riscontrato nel DdL Unterberger -, che può essere esercitata da entrambi i coniugi o da uno soltanto.

Si potrebbe pensare che rispetto al testo licenziato alla Camera nella XVII legislatura - e mai discusso nell’assemblea del Senato - ci sia un’evoluzione considerevole, dato che, dopo l’iniziale proposta di soppressione del 143-bis contenuta in alcuni DdL di allora, questa modifica era stata cassata, lasciando dunque inalterata l’attuale situazione di aggiunta incostituzionalmente riservata alle donne.
Ma cosa comporta in concreto questa possibilità bilaterale, il cui esercizio può anche essere soltanto unilaterale? Non è molto difficile saperlo. Basta scorrere i vari studi che sono stati fatti sulle scelte operate negli altri Paesi che contemplano tale possibilità, dai quali emerge che, malgrado le ampie soluzioni differenti contenute nelle varie legislazioni, la prassi della scelta del cognome del marito e dell’attribuzione a figli e figlie del solo cognome paterno continua a dominare indisturbata.

“Oh, ma ciò che conta è che le donne POSSANO fare diversamente se vogliono!”, si potrebbe eventualmente obiettare. No. Non è così. Scegliere in piena coscienza vuol dire essere consapevoli di ciò che da ciascuna scelta operata consegue e questo non avviene nella popolazione con un semplice cambiamento sulla carta, se quella carta contiene una qualche porta spalancata da cui entra con prepotenza il passato. Quel che serve è sbarrare la porta, SE ciò che si vuole realmente ottenere è un mutamento culturale profondo.

In alcune relazioni premesse ai DdL del Senato, si citano due Risoluzioni del Consiglio d’Europa, del 1995 e del 1998, in cui si accenna al “cognome di famiglia”, le quali erano volte però a contrastare la pretesa di indicare nel cognome patrilineare la garanzia dell’unità familiare (pretesa fatta a pezzi dalla sentenza della CEDU del 7 gennaio 2014). Si dimentica peraltro che tali considerazioni venivano espresse in un periodo in cui la patrilinearità era ancora in molti stati la dominante assoluta, cosicché la scelta di un cognome comune “di famiglia” poteva apparire un passo aventi rispetto alla prassi discriminatoria di allora. Oggi, nel 2023, è soltanto un grave passo indietro.

Sappiamo che il fantasma del “per sempre” è quello che agita le menti dei futuri aggressori o assassini, prima ancora che diventino tali. Costoro attribuiscono il carattere di indissolubilità a ogni legame sentimentale che almeno in un primo stadio abbia le caratteristiche di riuscire loro gradito e di rassicurarli, di promettere la continuità di un appoggio-dipendenza. Lo pensano già da fidanzati. “Sarà sempre al mio fianco, mi supporterà in ogni momento della mia vita, dunque convivrò con lei o la sposerò, per continuare così sino alla morte” (in quella fase immaginata ancora come morte naturale di entrambi).

Alimentare questo presupposto con la possibilità di un “cognome di famiglia comune” significa agire verso la “spersonalizzazione” di chi contrae un legame affettivo. Convivendo o sposandosi non si diventa solo o anche l’altro/a, ci si pone o ci si dovrebbe porre in un continuo dialogo con l’altra/o, per adottare soluzioni utili a entrambi (e ai figli, quando ci sono), senza prevaricazioni di sorta.

Chiedo di conseguenza che si elimini il ricorso al cognome comune, che non è presente in tutte le legislazioni europee, né, se lo fosse, ciò costituirebbe garanzia della bontà di una tal soluzione. La Spagna, ad esempio, che ha aggiornato due volte (di cui l’ultima è abbastanza recente) le sue antiche norme sul doppio cognome, non ha introdotto questa ingombrante presenza.

Questo non è però l’unico punto debole dei DdL che ritengo necessario rivedere nella stesura del testo unificato da portare poi in Assemblea. C’è anche un serio problema di linguaggio che va analizzato e risolto.

Senatrice Bongiorno e senatrici proponenti tutte, potreste fornirmi una spiegazione valida del perché può apparirvi di scarso rilievo che nei DdL presentati si dia «precedenza enunciativa, contraria perfino all’ordine alfabetico, al cognome del padre rispetto a quello della madre o di entrambi», operando con ciò un «raccordo ideologico con la tradizione precedente il cui fondamento è stato dichiarato DEFINITIVAMENTE illegittimo» dalla Corte? Un linguaggio che “salva la priorità” della discendenza dal padre rispetto alla discendenza dalla madre tradisce la funzione profonda della riforma necessaria, che è quella di eliminare ogni rapporto di forza che neghi la realtà della natura» (3).
E la realtà naturale, possiamo girarci intorno quanto vogliamo, è che i figli - a parità di contributo genetico (sorvolando, per non complicare le cose, sull’importanza fondamentale della trasmissione dei mitocondri, che avviene solamente per via materna) - i figli, ripeto, li mettono al mondo le donne. Perché, allora, scrivere nelle proposte che si può attribuire il cognome del Padre, o quello della Madre, o quello di entrambi, indicando il cognome materno come il fanalino di coda?

Creare un raccordo evidente col sistema della patrilinearità obbligatoria, dichiarato dalla Consulta ILLEGITTIMO ab origine, significa indurre le donne meno avvertite (che su questo tema costituiscono purtroppo la massa) a perpetuare, in omaggio alla tradizione consolidata, il primo e potente MODELLO SOPPRESSIVO dell'identità femminile che è stato inculcato in tutte le generazioni su tutto il territorio nazionale.

Da più parti si leva oggi il grido “occorre una rivoluzione culturale, per fermare il proliferare dei femminicidi!” ed è un grido a cui si associano anche gli uomini, spesso colpiti ferocemente in prima persona dall’assassinio di una loro figlia.
Per quanto gli interventi educativi che si vorrebbe introdurre nelle scuole possano avere una funzione importante, questi arriverebbero (se mai arriveranno) DOPO una prima deformazione forzata delle ignare coscienze infantili, determinata dall’omaggio al padre-patriarca a cui si sta stendendo inconsapevolmente un tappeto nelle diverse proposte di legge. Quel tappeto va eliminato. Di rosso abbiamo già tanto sangue versato dalle incolpevoli vittime.

Non ci sarà una nuova riforma di legge successiva, sempre che questa vada in porto nell’attuale legislatura. Di conseguenza le modifiche necessarie vanno affrontate adesso. Non è possibile nascondere sotto il tappeto i resti dello statuto patriarcale, che finirebbe col permanere indisturbato nel prevedibile ripiegamento sull’abitudine.

Ci sono anche altri punti da trattare, che però non richiamo avendoli già espressi in vari scritti e ripresi nella mia più recente Petizione (4) allegata al vostro fascicolo. Potrò elencarli però a viva voce, se, Senatrice Bongiorno, la mia richiesta di audizione sarà accolta, richiesta condivisa da Laura Cima, di cui ricordo qui il primo progetto di legge parlamentare nell’Italia repubblicana sul doppio cognome e una Petizione (5), oggi con oltre 55.000 firme, presentata in Parlamento nel 2014 per la calendarizzazione della discussione sulle proposte.

Senatrice Bongiorno, alla pagina 39 del libro già citato Lei scrive: «non mi sento un’eccezione, piuttosto un’unità di quell’esercito di sopravvissute ai pregiudizi che ora guardano indietro con un pizzico di orgoglio per la propria tenacia. Perché è con la tenacia che si superano i pregiudizi, non solo con la bravura, tantomeno con la fortuna. Non basta nemmeno la genialità: puoi anche essere un genio, ma se i pregiudizi ti mandano al tappeto cento volte e non hai la tenacia di rialzarti anche alla centesima non ce la fai».
Ecco, devo confessarle, Senatrice, che dopo tanti e tanti anni di duro combattimento sono stanca. Non so dirle se questa mia lettera rappresenta la 100esima volta da cui dovrei, secondo il suo suggerimento, rialzarmi. Aspetto allora di sapere da Lei, quale numerazione attribuire a questa mia seconda richiesta e quale orientamento poterne dedurre per il futuro e la salute fisica e morale delle donne.

Nel ringraziarla per la cortese lettura, resto in attesa di una sua risposta.

Iole Natoli
Giornalista pubblicista e attivista

Laura Cima
già Deputata nella X e nella XIV Legislatura

___________

Link nel testo:
1 - Lettera aperta alla Senatrice Giulia Bongiorno. RICHIESTA di audizione in Commissione. La soppressione del cognome materno radice prima della violenza di genere
- https://ilcognomematernoinitalia.blogspot.com/2022/12/lettera-aperta-alla-senatrice-giulia_21.html
2 - La soppressione della donna nella struttura familiare (mensile "Il foglio d’arte", Palermo, Giugno 1979, pp. 5-6) - https://cognomematerno-archiviostorico-italia.blogspot.com/2013/06/doppio-cognome-per-i-figli-in-italia_25.html
3 - vedi 1
4 - Petizione Nuove Norme sul NOME della PERSONA e sul COGNOME dei CONIUGI e dei FIGLI, 19ª Legislatura (annunciata col n. 189 al Senato e col n. 124 alla Camera) -
https://www.change.org/p/nuove-norme-sul-nome-della-persona-e-sul-cognome-dei-coniugi-e-dei-figli-19a-legislatura

5 – Comunicato della Camera sulla Petizione lanciata da Laura Cima Chiediamo che la legge sul cognome sia approvata! presente su change.org - https://presidenteboldrini.camera.it/18?shadow_comunicato_stampa=7756

6 Dicembre 2023

Attribuzione immagine: andare al link

© Iole Natoli

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